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Economia
Tim, scossa Iliad anche in Borsa. Guerra dei prezzi, ecco la way-out

Nonostante il clima generalmente positivo (col +1,2% odierno l’indice Ftse Mib segna già +7,6% da inizio 2019), il mercato azionario italiano resta molto attento al raffronto tra fondamentali e multipli. Non sfugge alla regola Telecom Italia, che oggi perde il 7,2% dopo aver lambito a tratti anche il -9% e resta debole anche nel dopo borsa a causa di un inatteso “profit warning” con revisione al ribasso delle stime per il 2018, ma anche la previsione di un primo semestre 2019 ancora impattato negativamente dalle dinamiche competitive che hanno inciso sul 2018. Ieri sera a mercati chiusi il gruppo aveva annunciato un Ebitda consolidato complessivo organico 2018 che si prevede “nell’intorno di 8,1 miliardi di euro”, ossia in calo del 5% rispetto al 2017.

Dossier Persidera/ E' in stand by la cessione di Persidera, società di multiplex posseduta al 70% da Telecom Italia. Il dossier, su cui ieri c'è stata un'informativa in cda, sarà gestito, secondo quanto risulta a Radiocor, in prima persona dal nuovo amministratore delegato Luigi Gubitosi che si occuperà direttamente anche di altri importanti asset come Sparkle e Inwit che prima facevano capo alla divisione Infrastrutture guidata da Stefano Siragusa sotto la cui direzione rimane la rete di Tim. L'obiettivo, secondo quanto si apprende, è quello di chiudere il dossier in tempi rapidi e non c'è nessuna preclusione nè sul ritorno in pista di Rai Way, anche in tandem con F2i, nè su altre ipotesi. Sotto la gestione Genish, Tim aveva concesso l'esclusiva a al fondo americano I Squared ma la trattativa non si è conclusa, almeno per il momento, positivamente. Intanto l'altro gruppo interessato all'acquisto, cioè Rai Way, secondo quanto risulta a Radiocor da fonti finanziarie, conferma il permanente interesse per l'operazione.

Sul dato pesa in particolare la previsione di un Ebitda organico sul mercato domestico visto in calo “mid single digit” (ossia tra il 4% e il 6% ndr) rispetto al 2017, a fronte di un miglioramento atteso delle attività di Tim Brasil. Un quadro piuttosto differente da quello che aveva tratteggiato l’ex amministratore delegato Amos Genish nel marzo dello scorso anno che prevedeva non un calo ma una crescita media annua “low single digit” (ossia del 2%-4%) sul mercato domestico.

Non solo: per il 2019 Tim ora prevede “un andamento della performance operativa che sconta le dinamiche competitive che hanno impattato l’esercizio 2018 e si prevede influiscano anche sul 2019, in particolare sul primo semestre”. Quali sono queste “dinamiche competitive” domestiche? Evidentemente l’ingresso del concorrente “low cost” Iliad che dalla scorsa estate è riuscita a salire da zero al 2,2% del mercato raccogliendo 1,6 milioni di clienti, insediandosi al quinto posto nel mercato (a poca distanza da Poste Mobile, al 3,9%) soprattutto da Wind 3 (quota di mercato calata al 29,1%, 2,3 punti in meno su base annua) e Vodafone (29,4%, -0,8%), mentre Tim si è dimostrata più “resiliente” (con una quota salita al 31%, lo 0,5% in più di un anno prima).

Soprattutto Iliad ha riacceso una guerra di prezzi che sembrava ormai alle spalle, comprimendo i margini di tutti gli operatori, Tim compresa. Il che per una società come l’ex monopolista telefonico italiano che, in questo caso in linea con le previsioni, non riesce a registrare ulteriori cali del debito (fermo attorno ai 25,2 milioni anche a causa della prima rata da 513 milioni per il pagamento delle licenze per il 5G) non è certo un buon segnale.

A limitare la delusione non sono bastate le parole di Ubs, che in una nota ha spiegato di ritenere “che l’aver fornito ai mercati un outlook credibile e il miglioramento del track record di gruppo rappresenti un passo necessario per cercare di riconquistare la fiducia degli investitori”, ma ha anche ribadito il giudizio a “sell” (vendere) pur con un target price di 0,5 euro ormai del tutto allineato alle quotazioni del titolo, ritenendo che vi sia “un rischio al ribasso per il piano triennale del gruppo”.

Come dire che per risolvere i suoi problemi, ammesso che vi riesca, Tim potrebbero metterci 6- mesi o più, posto che si riesca, come si vocifera, a imprimere un nuovo e deciso taglio dei costi e, magari, si chiude positivamente la partita per la cessione della quota in Persidera (società di multiplex di cui Tim è socia al 70% la cui vendita era saltata l’anno scorso), al momento però in stand by (vedi box).

Per uscire da questo nuovo “cul de sac” gli analisti svizzeri suggeriscono di affrontare di petto tre questioni. Anzitutto il miglioramento e la stabilizzazione della governance visto anche la rissosità tra il primo socio Vivendi (23,9%), che oggi ha accusato il Cda di aver diffuso una comunicazione col solo obiettivo “di incolpare Amos Genish” e il fondo Elliott (8,85%), che subito ha replicato: “Informare il mercato non solo è buona prassi ma anche un obbligo di legge in questo paese”.

Il confronto finale tra i due, con Cassa depositi e prestiti che resta sullo sfondo col 4,26%, potrebbe avvenire già nell’assemblea del prossimo 29 marzo, dopo però non dovranno esserci ulteriori incertezze. Poi un compromesso col governo sul destino della rete tale da minimizzare il più possibile “la diluizione della presenza di Tim nel business wholesale”, suggeriscono gli analisti rossocrociati.

Ma il tema del riassetto della rete e la gestione dei relativi possibili licenziamenti coinvolge anche i sindacati, che infatti chiamano il governo a intervenire per chiarire la propria posizione e la strategia su temi, come l’eventuale matrimonio tra la rete di Tim e quella di Open Fiber, fondamentali per il futuro dell’azienda guidata da Luigi Gubitosi e per l’intero settore, che rischierebbe secondo Vito Vitale, segretario della Fistel Cisl, 15-20 mila esuberi. Infine secondo Ubs occorre sciogliere il nodo della ricapitalizzazione della società, la cui capitalizzazione di mercato continua ad essere di poco superiore ai 10 miliardi di euro.

Più prudenti altri analisti come quelli di Mediobanca Securities secondo cui l’outlook non è così sorprendente per cui non ci sarebbe motivo di operare grossi cambiamenti sulle stime, anche se un “fine tuning” sul business domestico sarà necessario. “Adesso abbiamo la parte brutta della storia, mentre ancora non sappiamo quali azioni il nuovo Ceo intenda attuare in termini di ristrutturazione” commentano gli uomini di Piazzetta Cuccia, secondo cui non è da escludere a breve qualche aggiornamento da parte del management sul tema della separazione della rete.

Luca Spoldi

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