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Economia
Voucher, l'abolizione è sbagliata.I riflessi (negativi) sul mercato del lavoro
voucher lavoro

Pensionati, lavoratori dipendenti e disoccupati: sono stati loro i principali utilizzatori negli anni dei voucher. Una fotografia che ci porta lontano dal mondo delle imprese, coinvolto solo per un terzo dell'intero volume di ore lavorate dai voucheristi. È quanto emerge, fra le altre cose, da un’indagine della Fondazione Studi dei Consulenti del Lavoro sui dati Inps che impone una riflessione politica urgente per evitare che tutti questi soggetti finiscano per alimentare quel lavoro sommerso reso visibile proprio grazie all'utilizzo dei voucher. Pensionati, lavoratori dipendenti e disoccupati, per motivi vari, oggi non possono che essere occupati “occasionalmente” solo tramite uno strumento normativo con le caratteristiche simili al buono lavoro. E ciò in quanto il proprio status principale risulta incompatibile o non conveniente rispetto ad un rapporto di lavoro dipendente di tipo tradizionale. Allo stato attuale, neanche il lavoro intermittente “modificato” sarebbe utile, poiché destinato all'utilizzo da parte di aziende, cioè da parte soggetti che non hanno utilizzato i voucher in maniera prevalente come inizialmente sostenuto dai principali detrattori.

IL QUADRO NORMATIVO DI OGGI

Il D.Lgs. n. 25/2017 ha abrogato la disciplina del lavoro accessorio, consentendo l’utilizzo entro il 31 dicembre di quest’anno deisoli voucher già acquistati alla data di entrata in vigore del decreto legge. Le ragioni spiegate a sostegno della misura sono state individuate nella necessità di eliminare l’abuso del lavoro accessorio e la sua applicazione indiscriminata. L’abolizione integrale della disciplina può però risultare poco favorevole, soprattutto per quelle categorie di lavoratori che utilizzavano i voucher in maniera genuina per rispondere ad effettive esigenze di lavoro occasionale, saltuario e limitato nel tempo, e che adesso rischiano di trovarsi senza alternative valide. L’analisi della Fondazione Studi dei Consulenti del Lavoro, basata sui dati forniti dall’Inps sulla applicazione del lavoro accessorio, mette a fuoco che la maggioranza degli utilizzatori dei voucher (63% del totale) appartiene a categorie (disoccupati, pensionati, seconda occupazione) che difficilmente potranno trovare alternative valide tra le tipologie di contratti attualmente vigenti. Proprio le specifiche di questa predominante fetta di soggetti, da un lato inducono a considerare che il loro ricorso al lavoro accessorio fosse virtuoso e dall’altro pongono il più che ragionevole dubbio che probabilmente ritorneranno ad alimentare sacche di lavoro nero, perché l'attuale panorama normativo non presenta strumenti particolarmente adatti alle loro esigenze che sono quelle, genuine, di un utilizzo saltuario per piccoli lavoretti. Esigenze cui non è possibile soccorrere neppure con le forme più recenti di flessibilità, come ad esempio l’art. 8 della Legge n. 148/11, che prevede meccanismi di contrattazione e rappresentatività che appaiono scarsamente applicabili alla natura estemporanea dell'utilizzo, genuino, dei voucher, dimostrato dai dati dell’Istituto di previdenza.

COSA CAMBIA PER LE IMPRESE

Attualmente non si registrano valide alternative che possano rispondere appieno alle esigenze di una prestazione di lavoro di natura occasionale. Non è del tutto adatto il contratto di lavoro a tempo determinato, che comunque prefigura una durata, seppur minima e quindi una sua programmazione, oltre ai divieti connessi al cosiddetto “stop & go”, che impone un intervallo di tempo minimo tra un contratto e l’altro. Non lo è il contratto di somministrazione, per motivi simili, oltre al costo orario della prestazione, che supera anche del 50% quello del lavoratore “voucherista”. Il lavoro a chiamata appare come quello più simile alle esigenze cui rispondeva l’utilizzo dei voucher. Il contratto intermittente, infatti, consente di regolare prestazioni di lavoro discontinue. D’altra parte, però, anche questo è pur sempre un rapporto di lavoro subordinato a tutti gli effetti che prevede adempimenti, formalità e programmazione preventiva. Conseguentemente, anche i costi presentano un significativo aumento rispetto al lavoro accessorio, tra il 40% e il 60% rispetto al costo del singolo voucher. Peraltro l’attuale normativa, con i limiti di età che impone per il ricorso al lavoro a chiamata (sono esclusi i soggetti che hanno compiuto 25 anni e fino ai 55 anni di età), finisce per tenere fuori dall’utilizzazione di questo contratto proprio la fascia di età di maggior interesse per il dato occupazionale.

COSA CAMBIA PER LE FAMIGLIE

L’abolizione dei voucher comporta un vuoto normativo ancor più significativo per le famiglie, evidentemente meno attrezzate per provvedere agli adempimenti formali previsti per la formalizzazione di un rapporto di lavoro, che invece avevano nel voucher un utile strumento di flessibilità e semplicità per richiedere prestazioni lavorative di piccolo cabotaggio, tipiche delle esigenze familiari (collaborazioni domestiche per le pulizia, piccoli lavori di manutenzione, artigianali, ecc.). Dunque, manca completamente uno strumento normativo per dare regolarità ai tanti rapporti che si avviano in ambito familiare. Infatti, i soggetti maggiormente utilizzati in ambito familiare si troveranno ora a fare i conti con una assoluta mancanza di regolamentazione. Più in particolare, si rileva che:

a) il 27% del totale dei voucher era utilizzato da disoccupati (252mila) e pensionati (116 mila);

b) il 36% del totale dei voucher era utilizzato da occupati (502mila), che arrotondavano con i voucher i redditi provenienti dalla loro occupazione principale;

c) il rimanente 37% (509mila) era rappresentato da una popolazione lavorativa che, attraverso l’utilizzo dei voucher, manteneva aperta la propria posizione previdenziale, utile nel tempo alla ricostruzione di una storia contributiva valida ai fini pensionistici.

Dunque si confermano alcune considerazioni che capovolgono le considerazioni più diffuse circa il presunto utilizzo abnorme ed alterato dei voucher. Come argomentato, i voucher sono uno strumento di emersione di “lavoretti” per arrotondare pensione o assegni di disoccupazione, o per far emergere doppi lavori. Solo nel 37% era l’unica fonte di reddito per il lavoratore. Al fine di dimensionare correttamente il fenomeno, sarebbe poco corretto mettere in relazione il numero di occupati (22,5 milioni da fonte ISTAT) con il milione e trecentomila soggetti che hanno riscosso almeno un voucher nel 2015. Per questo motivo è preferibile dimensionare il fenomeno con un indicatore relativo al costo del lavoro che è una dimensione che tiene conto delle ore e dei giorni lavorati. Come dimostrato dallo studio INPS1, se si prende in considerazione il costo totale del lavoro dipendente privato (386 miliardi nel 2015) confrontato al costo dei voucher dello stesso anno (880 milioni)si arriva ad una quota che supera di poco lo 0,2% dell’intero costo del lavoro sostenuto dalle aziende nel 2015. Posta la marginalità della rilevanza economica dei voucher, emerge che la maggior parte dei voucher (il 63% pari a 870 mila lavoratori) veniva utilizzata effettivamente per quelle finalità residuali che il legislatore aveva prefigurato: sostegno alla disoccupazione, arrotondamento di stipendi e pensioni. Vero e proprio lavoro “accessorio” rispetto alle risposte primarie che venivano offerte al mercato dell’occupazione attraverso i contratti di lavoro tipici. Crolla così l’altro mito del lavoro accessorio come strumento di elusione delle garanzie ed erosione dell’occupazione resa nelle forme ordinarie. Fatto ancor più grave è quello che proprio le categorie che più hanno utilizzato, e genuinamente, i voucher, ben difficilmente saranno riassorbite dalle altre forme contrattuali ma, prospettiva più verosimile, scivoleranno verso il nero. Perché i disoccupati non troveranno un altro strumento che consentirà loro una prestazione di lavoro saltuaria e legittima senza perdere il beneficio dell’indennità di disoccupazione e i pensionati, senza i voucher, la cui contribuzione era a fondo perduto, saranno più “costosi”. Ancor più complesso per i titolari di un impiego principale sarà ritagliare ulteriori spazi per consolidare un altro impegno per un’ulteriore prestazione lavorativa, senza l’estemporaneità e la libertà garantita dall’utilizzo dei voucher che consentiva loro di “arrotondare” lo stipendio nella pienezza della legalità e della libertà di adeguare l’attività accessoria all’impegno lavorativo continuo già assunto.

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