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Esteri
Attacco Iran, Israele se l'è cercata. A Netanyahu manca la "strategia"
Benjamin Netanyahu

Israele provoca l’Iran: la partita a scacchi che Netanyahu non sa giocare

È un’azione senza precedenti quella che nella notte ha colpito Israele. Un evento senza uguali nella storia dall’Iran che, val la pena ricordare, non lo ha mai attaccato frontalmente. L’operazione, nome in codice Vadeh Sadegh “Vera promessa”, che ha visto piovere su Israele un vero e proprio diluvio di oltre 350 missili balistici e droni suicidi, partiti dall’Iran, dall’Iraq e dallo Yemen, è un attacco che l’Iran avrebbe preferito evitare.

Una scelta non cercata ma obbligata: sia perché di fronte alle continue provocazioni israeliane l’Iran non poteva mostrarsi debole, sia perché doveva dare a Israele un segnale forte – ma non troppo – in grado di dissuaderlo dal ripetere in futuro attacchi come quello compiuto il 1 aprile al consolato a Damasco. L’Iran ha fatto sapere che dopo questa “mossa simbolica”, la questione può “considerarsi chiusa”. Come si dice nel gioco degli scacchi quando si finisce in posizioni di stallo che chiudono i giochi: pari e patta.

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Non è certo però che l’avversario israeliano recepisca il messaggio e si limiti a incassare senza rispondere. Anzi, questa mossa è tutt’altro che scontata e l’Iran, che dall’India ha importato gli scacchi diffondendoli in tutto il mondo, lo sa molto bene. Così come sa che Israele agisce e reagisce troppo spesso in modo muscolare, ricorrendo sempre più raramente alla sofisticata e vincente arma della strategia. Fuori dalla consolidata politica del vittimismo antisemita, che per oltre 75 anni gli ha garantito l’impunità permettendogli di trasformare qualunque crimine in un torto subito, e fatta salva l’insindacabile e ineguagliabile forza penetrativa dei suoi servizi segreti – tanto che in pochi continuano a credere che Israele non sapesse dei movimenti di Hamas sfociati nell’attacco del 7 ottobre – Israele in questa partita sta dimostrando tutta la sua mancanza di pianificazione strategica, rendendo evidente che ragiona più con la pancia che con la testa.

Gli Stati Uniti, alleato storico dello stato israeliano, hanno messo in guardia più volte Netanyahu dal fare scelte avventate dagli esiti incerti. Anche l’attacco al consolato iraniano di Damasco è stata una mossa proditoria, fatta contro il parere della Casa Bianca che questa mattina ha mandato un messaggio forte e chiaro: “non replicare”. A Netanyahu Biden ha inoltre fatto sapere che non lo supporterà qualora decidesse di attaccare l’Iran. Gli Stati Uniti non hanno nessuna intenzione di essere trascinati in un conflitto in grado di innescare una vera e propria bomba a orologeria la cui deflagrazione trascinerebbe tutti in baratro nel quale in fondo c’è anche l’atomica.

Adesso Israele si trova con tre fronti aperti, e non è mai una buona cosa quando si gioca una partita a scacchi. E i fronti includono, oltre a Gaza e l’Iran, la polveriera della Cisgiordania dove i coloni stanno facendo il diavolo a quattro, traendo vantaggio dal caos e dall’incertezza nel quale Israele versa. Da giorni infatti, nell’impunità più assoluta, lanciano attacchi sempre più massicci e cruenti contro i palestinesi, incendiando e uccidendo tutto quel che trovano sul cammino, animati dal più cupo furore messianico che ha trasformato l’intera area in Far West dove vige ormai la legge di tutti e di nessuno e ognuno se la fa da sé.

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L’Ambasciatore dell’Iran alle Nazioni Unite, Saied Iravani, ha inviato una lettera nella quale afferma che l’attacco contro Israele “rientra nell’esercizio del diritto di Teheran all’autodifesa sancito dall’articolo 51 della carta delle Nazioni, in risposta alle ricorrenti aggressioni militari israeliane e in particolare dopo il raid del 1 aprile”. Nella lettera Iravani ha anche accusato il Consiglio di Sicurezza di aver permesso a Israele di superare i limiti e violare i principi fondamentali del Diritto Internazionale.

Lo scenario è sempre più complesso. Al di là delle reazioni di pancia verso il gigante persiano, viene da chiedersi se adesso Israele non approfitterà di questo attacco per rinverdire la consunta strategia del vittimismo e giustificare così un attacco finale su Gaza con conseguenze umanitarie catastrofiche e irreversibili.

La partita a questo punto dovrebbe finire qui: sulla bilancia i 350 missili stanno al consolato raso al suolo con le sue 13 vittime. Ma con il giocatore Bibi non si può prevedere dove questa escalation bellica potrà portare.






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