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Esteri
Coronavirus, alta tensione Trump-Cina. "Cancellazione forzata del debito"
Donald Trump e Xi Jinping (foto Lapresse)

Il presidente degli Stati Uniti, Donald Trump, torna a puntare il dito contro la Cina che, ritiene, “farà qualsiasi cosa possa” per fargli perdere la corsa alla rielezione alla Casa Bianca. Pechino respinge l'ipotesi: "non cerchino di coinvolgerci, l'elezione è un fatto interno".    Il modo in cui la Cina ha gestito l’epidemia di coronavirus, ha detto Trump in un’intervista concessa all’agenzia Reuters, ne è la dimostrazione. Nonostante continui a definire il presidente cinese, Xi Jinping, un “amico”, il presidente Usa dichiara di stare lavorando a varie opzioni per mettere Pechino di fronte alle proprie responsabilità nella diffusione del virus.    

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Trump dichiara di aver visto delle prove che collegherebbero il coronavirus al laboratorio di Wuhan, in Cina. Lo ha detto rispondendo ai cronisti che gli chiedevano di commentare la dichiarazione dell'Ufficio del Direttore della National Intelligence (Dni) che esclude il Covid sia stato creato in laboratorio.

E poi torna a minacciare tariffe contro la Cina per il coronavirus. Incalzato sulla possibilita' di cancellare parte dei debiti obbligazionari, Trump ha risposto: "potrei farlo con le tariffe". 

“Ci sono molte cose che posso fare. Stiamo cercando di capire cosa è successo”, ha risposto Trump a una domanda sul possibile ricorso alle tariffe o alla cancellazione del debito. La Cina, è la tesi di Trump, gli preferirebbe il suo sfidante, il democratico Joe Biden, nella speranza di un alleviamento della pressione sul Paese imposto dalla sua amministrazione.    

Da Pechino, il portavoce del Ministero degli Esteri cinese, Geng Shuang, ha ribadito che la Cina non è interessata a interferire nelle elezioni del 3 novembre prossimo. “L’elezione è una questione interna degli Stati Uniti”, ha detto il portavoce, e gli Stati Uniti “non cerchino di coinvolgere la Cina”.

Al centro delle polemiche c’è il Wuhan Institute of Virology, sospettato di essere il luogo da cui è nato il coronavirus, che negli Usa ha provocato più vittime della guerra in Vietnam. “Ci sono molti laboratori in Cina che stanno continuando a condurre un lavoro, riteniamo, su patogeni contagiosi in Cina oggi”, ha detto il segretario di Stato Usa, Mike Pompeo, “e non sappiamo se stanno operando a un livello di sicurezza tale da prevenire che questo accada di nuovo”. Secondo le ultime informazioni, l’intelligence Usa ritiene che il virus non sia stato creato dall’uomo o geneticamente modificato, ma continua a indagare sulla possibilità di un collegamento con il laboratorio di Wuhan.    

Pechino ribadisce invece che l’origine del coronavirus è materia di studio per gli scienziati e respinge l’accusa di averlo originato come un tentativo di “stigmatizzare” la Cina, tesi ribadita nelle scorse ore anche dal vice ministero degli Esteri cinese, Le Yucheng. L’ipotesi di un’inchiesta internazionale sulla pandemia trova Pechino nettamente contraria: sarebbe “politicizzata”, ha detto alla Nbc il funzionario cinese, e basata sulla “presunzione di colpevolezza”. Su questo fronte, la Cina è ai ferri corti con l’Australia, molto attiva nel promuovere un’inchiesta indipendente tra i Paesi membri dell’Organizzazione Mondiale della Sanità. Pechino definisce l’Australia il portavoce delle posizioni statunitensi e minaccia ritorsioni sul piano economico, ma il primo ministro Scott Morrison ritiene l'inchiesta “assolutamente ragionevole”. Dubbi sull’iniziativa emersi da Francia e Gran Bretagna rendono, però, complicato formare una coalizione. Intanto, a soffiare sul fuoco è anche il direttore del tabloid Global Times, il più agguerrito giornale cinese sui temi di politica estera, Hu Xijin. L’Australia, ha scritto sul suo account Weibo, il social più popolare in Cina, è come “una gomma da masticare incollata alla suola della Cina. Devi trovare una pietra per liberartene”. 

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