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Esteri
Taiwan 2020, non si vota (solo) su Pechino. Ma Taipei è stretta tra Cina e Usa
Foto: LaPresse

Nel calendario del 2020 sono previsti diversi appuntamenti elettorali importanti. Per le scelte, i valori in discussione e le conseguenze geopolitiche ce ne sono però due che sono più importanti degli altri. Di uno, le elezioni presidenziali negli Stati Uniti del prossimo novembre, si sa, e si saprà, di tutto e di più. Ma dell'altro nel mondo occidentale se ne parla ancora molto poco, sottovalutandone le implicazioni che possono raggiungere un livello globale sia sotto il profilo simbolico sia sotto quello strategico. Stiamo parlando delle elezioni di Taiwan, in programma sabato 11 gennaio.

Insieme ad Han erano presenti il presidente del Kuomintang We Den-yih, l'ex presidente Ma Ying-jeou e diversi altri amministratori locali tra cui il sindaco di Nuova Taipei. Eppure sembra difficile che Han possa davvero battere la rivale. Qualche mese fa appariva tutto già scritto. Le difficoltà economiche, i rapporti tesi con la Cina, la perdita di alleati diplomatici e soprattutto la batosta alle elezioni locali del 2018 sembravano davvero una sentenza per Tsai e per il DPP, con il KMT pronto a tornare al potere dopo quattro anni di opposizione.

A osservare con attenzione l'esito del voto c'è sicuramente Pechino. Nelle scorse settimane il capo dell'Ufficio degli Affari di Taiwan Liu Jieyi ha dichiarato che la Repubblica Popolare Cinese non è mai stata così fiduciosa in merito alla riunificazione di Taiwan. Un imperativo per il governo di Pechino, che considera Taipei una provincia ribelle, da raggiungere senza se e senza ma entro il 2049, vale a dire il cententario della nascita della "Nuova Cina". 

Pechino ha cambiato diversi approcci nei confronti di Taipei nel corso degli anni. Nel 1996 l’Esercito Popolare di Liberazione aveva testato dei missili prima delle elezioni presidenziali e uno dei candidati, Chen Lian, avvertì: “Se votate per Lee Teng-hui, state scegliendo la guerra”. Alla fine il candidato del KMT, allora ancora in cattivi rapporti con Pechino, vinse comunque. Ora il governo cinese, dopo quattro anni di tensioni con il governo del DPP che hanno portato tra le altre cose al divieto dei viaggi individuali dei mainlanders verso Taiwan, sta provando una strategia diversa. Sono state introdotte 26 nuove misure per facilitare privati e imprese taiwanesi a operare in Cina. È stato sdoganato l’utilizzo dei dialetti taiwanesi, anche attraverso la nomina di Zhu Fenglian, che durante la sua prima conferenza stampa in qualità di portavoce dell’Ufficio per gli affari di Taiwan ha pronunciato alcune frasi in hokkien, la lingua ufficiale a Taiwan.

Dall'altra parte ci sono invece gli Stati Uniti, che seppure non abbiano più relazioni diplomatiche ufficiali con Taipei dal 1979, restano il più importante alleato di Taiwan a livello internazionale. L'amministrazione Trump si è dimostrata particolarmente attenta al tema Taiwan, anche per l'approccio molto aggressivo nei confronti di Pechino sul piano commerciale e non solo. Nel 2018 è stata ampliata la presenza diplomatica americana a Taipei, con l'ampliamento dell'American Institute in Taiwan che è una sorta di ambasciata de facto. Il tutto mentre la presidente Tsai ha fatto due volte scalo in territorio americano durante le sue visite in America Centrale e America Latina e la cooperazione economica e militare si sono intensificate. 

Senza contare la celeberrima telefonata di Donald Trump a Tsai dopo l'elezione. Il fatto che si possa ripetere è tutt'altro che scontato, visto che proprio nei prossimi giorni la delegazione cinese arriva negli Usa per firmare con Trump l'accordo sulla fase uno del negoziato sulla trade war. Ma il ruolo di Taiwan all'interno della sfida sempre più omnicomprensiva (dal commercio alla tecnologia fino alla geopolitica) è destinato a crescere in futuro. Secondo un sondaggio del think tank Council on Foreign Relations' Center for Preventive Action, una crisi tra Washington e Pechino è uno dei 30 scenari di conflitto più probabili nel 2020.

Il tutto nonostante Taipei cerchi di ritagliarsi un ruolo internazionale che si sfili dalla logica dello scontro globale. "La Cina non deve leggere come una vittoria o una sconfitta per se stessa i risultati delle elezioni di Taiwan", ha detto nei giorni scorsi il ministro degli Esteri taiwanese Joseph Wu. Molto difficile che ciò accada finché Pechino ritiene la riunificazione un obiettivo imprescindibile e finché gli stessi partiti maggioritari taiwanesi si posizionano basandosi (non solo ma in buona parte) sulla questione identitaria di "taiwanesità" o "cinesità".

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