Esteri
Inferno immigrazione, dall’Africa verso l’Europa, attraversando il Mediterraneo
Italia e immigrati: accoglierli o respingerli? Migranti e l'Europa: quali scenari futuri? Parla Daniel Wedi Korbaria, autore del libro Inferno immigrazione
Inferno immigrazione, dall’Africa verso l’Europa, attraversando il Mediterraneo. Parla Daniel Wedi Korbaria
È uscito a ottobre il libro di Daniel Wedi Korbaria, scrittore eritreo, intitolato Inferno immigrazione, L.A.D Edizioni. Gli chiediamo di parlarci di quest’immigrazione sempre più infernale, che parte dall’Africa e arriva via mare sulle nostre coste. Un fenomeno antico, che però ha cambiato volto. Un tempo dalle regioni più povere emigravano gli italiani che in nave andavano verso l’America e, qualche volta, non superando i controlli di Ellis Island, erano costretti a tornare indietro. Capitava pure ai più piccoli, ai “minori non accompagnati”.
In questi anni però non c’è giorno in cui sui giornali non si legga dell’arrivo di migranti.
A seconda del momento politico i titoli parlano di “ondata” e “marea”, uno “tsunami” che potrebbe mettere in pericolo la società civile. Oppure, al contrario si chiedono maggiore accoglienza e porti aperti. Due linee che scorrono parallele lasciando intatto il problema.
L’Italia, secondo lei, cosa dovrebbe fare, accogliere o respingere?
“Le scelte sembrano guidate dalla politica dei singoli paesi europei”, dice Daniel Wedi Korbaria, “per questo l’opinione pubblica è fuorviata da atteggiamenti contrastanti. Inoltre la gente vive l’immigrazione all’ora dei pasti, guardando la televisione che mostra le tragedie in mare…”.
Quella stessa tv che noi accusiamo di portarci in tavola solo brutte notizie, che però non scoraggia i migranti a partire dall’Africa per arrivare in Libia e imbarcarsi su pericolosi gommoni per sperare di raggiungere la costa.
Secondo i dati più recenti i migranti che arrivano nel nostro paese via mare giungono principalmente dall’Egitto (17.678), dal Bangladesh (13.794), dalla Siria (5.863) e poi, anche se in misura minore, dall’Eritrea e dal Pakistan. Secondo i più recenti report, includendo gli arrivi da Turchia e Tunisia, negli ultimi dodici mesi in Italia sono sbarcate più di 100 mila persone, mettendo in crisi il sistema di accoglienza preventivato per 70 mila. Da qui la richiesta sempre più pressante di chiudere i porti.
In un recente comunicato Filippo Grandi, Alto Commissario delle Nazioni Unite per i Rifugiati, (Unhcr) scrive che quest’anno le persone disperse nel Mar Mediterraneo sono state 2.000. Perciò, “con così tante vite in gioco l’Unhcr riconosce l’importanza del soccorso in mare, comprese le navi delle Ong”. Il 6 dicembre si legge sul loro sito che “i governi si sono impegnati a stanziare 1.13 miliardi di dollari per fornire aiuto e un’ancora di salvezza alle persone costrette a fuggire dalle loro case a causa di guerre, violenze e violazioni dei diritti umani”. Un contributo per l’Unhcr cui si aggiunge quello privato, arrivando a quota 1.53 miliardi di dollari.
“L’Unhcr è una multinazionale dei rifugiati”, dice Daniel e, riferendosi alla situazione nel Mediterraneo, aggiunge “sta sia al di qua che al di là del mare. Sia nel punto da cui le navi partono sia dove arrivano. Molti profughi arrivano in Libia proprio dai campi da loro allestiti, penso all’Etiopia. Nell’Inferno del mio libro, organizzato in nove gironi come quello di Dante, colloco l’Unhcr nel settimo. Il problema è che il loro lavoro non ferma i migranti, anzi l’aiuto dato alle Ong finisce per aggravare il fenomeno”.Anche le rotte negli anni sono cambiate. Prima i migranti che arrivavano dall’Africa erano condotti dai trafficanti verso Israele che poi ha alzato un muro, impedendo il traffico che ha cambiato percorso, andando verso la Libia.“Sì. Inizialmente era così. Il percorso dei migranti cominciava dal Sinai verso Israele. Poi però si è deciso di aprire il Mediterraneo non più “mare chiuso”. Così nei campi profughi in Etiopia, gestiti fino al 2018 da Tplf, (Tigray People’s Liberation Front) e Arra, (Administration for Refugee & Returnee Affairs) gli eritrei erano scoraggiati dal seguire la rotta del deserto. Si diceva loro che nel deserto sarebbero stati prima torturati poi ammazzati. Gli attivisti mostravano scene macabre di migranti trucidati, si parlava di prelievo di organi. Tutto questo non per scoraggiarne la partenza ma per cambiarne il percorso. Il piano riesce dopo la caduta di Gheddafi che invece, dal 2011, aveva chiuso il passaggio via mare dalla Libia”.
La Libia che non ha mai firmato la Convenzione di Ginevra sui diritti umani, dopo la caduta di Gheddafi, con 140 clan e un solo governo riconosciuto dalle Nazioni Unite, quello di Al Serraj, diventa il centro del traffico dei migranti, con tutto ciò che ne consegue per giro di soldi e morte di uomini.
Il 2 febbraio 2017 l’Italia firma con la Libia un Memorandum, una nuova convenzione con la guardia costiera libica per fermare le partenze via mare. Quest’intesa sarà molto contestata ma non abolita, almeno finora. “Dopo la tragedia di Lampedusa del 3 ottobre 2013”, dice Daniel, “l’Italia, nel cordoglio internazionale, vara la missione Mare Nostrum (ndr, una missione con la quale la Marina Militare italiana pattuglia il mare fino alle coste libiche, del costo mensile di 9.5 milioni di euro). Con essa c’è il boom di partenze dall’Africa (ndr, 166.682 sbarchi) continente nel quale tutti hanno uno smartphone per fare ricerca, avere informazioni e monitorare i percorsi del viaggio. Per i migranti Mare Nostrum è stata un’ispirazione. Lo Stato italiano ha guidato il pull factor. Tutti sanno che in mare ci sono navi che li salveranno una volta partiti dalla Libia. Questo è il fattore attrattivo che ha funzionato”.Mare Nostrum però ha costi troppo alti e a maggio 2015 chiude. Lo sostituisce Sophia, missione meno costosa condotta da forze militari e di polizia europee, con la supervisione italiana. Gli sbarchi però non diminuiscono arrivando a quota 335.278.
E poi, quando finiscono le missioni cosa succede?
“Poi”, continua Daniel “arrivano le navi delle Ong, che sono in mare ancora oggi e che, anzi, aumentano ogni anno. Sono navi dai nomi inglesi che suonano come una promessa, un pull factor per i giovani africani che conoscono l’inglese, Sea-Eye, Sea-Watch, Sos Mediterranée, LifeBoat, Proactiva Open Arms, Mediterranea Saving Humans, ResQ. Così si continua a partire, per esempio dall’Eritrea, paese sotto assedio e sanzionato fino al 2018, quando in Etiopia cambia il governo e il Tplf cede il passo al premier Abiy Ahmed. Fino ad allora però per i giovani eritrei la vita in patria era difficile. Per loro l’emigrazione via mare era una possibilità concreta di cambiamento, cui si aggiunge lo status di rifugiato politico…Ma chiediamoci, a cosa servono sulle navi questi rifugiati speciali, i rifugiati politici? A far scendere tutti gli altri migranti nei porti senza attese né controlli. Anche i rifugiati politici hanno un ruolo nel business dell’immigrazione!”
Ma gli eritrei, come molti altri migranti, anziché imbarcarsi in Libia non potrebbero prendere un aereo…“Vorrei ricordare che la maggior parte delle 366 vittime di Lampedusa aveva parenti e familiari in Europa”, risponde Daniel “quindi avrebbe potuto ottenere un visto per ricongiungimento e arrivare pagando 400 euro di biglietto aereo anziché 10 mila, costo medio della tratta. Però i visti non vengono dati. Nessuna ambasciata europea dà visti agli africani. È un diritto negato. Così resta il deserto e il mare a rischio della vita. Secondo me l’Unhcr ha grandi responsabilità nel fenomeno migratorio. Fino al 2018 loro, oltre a sovvenzionare i campi in Etiopia, ne hanno concesso la gestione ad Arra, l’agenzia etiopica che ha ghettizzato i migranti che dai campi non potevano uscire se non come merce per il traffico di uomini, fino all’imbarco in Libia.E la tratta continuava anche una volta arrivati in Sicilia. Qui c’erano persone che prendevano i migranti appena sbarcati dalle navi o durante il tragitto verso i centri di accoglienza. Poi li caricavano sulle auto per portarli verso i paesi europei confinanti. Una catena di montaggio retta dai passeurs.
Cosa pensa succederà nel prossimo periodo? C’è un modo per fermare o rendere più sicuro il viaggio dei migranti dall’Africa verso l’Europa?
L’immigrazione dall’Africa continuerà via mare e morirà ancora tantissima gente. È un fenomeno che non si fermerà, anzi è destinato a crescere. Perché questo non accada bisognerebbe risalire a monte. Come? Ciò che ho scritto nel libro e che penso è che per fermare quest’immigrazione si dovrebbe estirpare il neo colonialismo. Il colonialismo del secolo scorso non è finito, ha solo cambiato faccia. Ancora oggi il continente africano è depredato dalle sue ricchezze e dalle sue risorse. Un sistema creato dall’Occidente per arricchirsi a discapito dell’Africa. Cosa resta quindi agli africani? La propaganda dell’accoglienza, la salvezza portata in mare dalle Ong. Una propaganda per attirarli, perché si imbarchino verso l’Europa per essere il più delle volte nuovamente sfruttati…Non servono i blocchi dei porti o delle navi. Bisogna che l’Occidente lasci l’Africa agli africani, Bisogna fermare lo sfruttamento economico. Questo sarà possibile nel prossimo futuro? Non credo. Ecco perché le morti in mare continueranno.
@Marilena Dolce