Esteri
Interpretazione, volontà e rappresentazione: la strategia di espansione cinese

In un saggio anticipato da Le Monde, numeri ed evidenze della strategia di potenza messa in atto da Pechino
E qui si innesta il tema della volontà. Che cosa vuole Pechino? Secondo Paul Charon e Jean-Baptiste Jeangène Vilmer, queste operazioni di intelligence (non scevre dall’utilizzo della mano militare) sono funzionali a quattro macro-obiettivi: difendere all’interno il modello cinese, lodare extra mœnia la tradizione del Paese, persuadere circa la benevolenza e la rettitudine del regime, rinforzandone al contempo la potenza oratoria e militare. Un sogno, quello del Dragone, che le evidenze dimostrano essere ormai realtà concreta: concreta e incancrenita in patria, con cellule e affiliazioni robuste sparse in giro per il mondo.
Traducendo fattivamente il noto adagio “volere è potere”, la volontà di potenza cinese fa leva su tre diverse e complementari tipologie di armi: la propaganda, ovvero la guerra all’opinione pubblica discordante, la guerra psicologica e infine la guerra del Diritto. L’approccio, così come evidenziato da Le Monde, è quello dei cerchi concentrici: si parte dagli eventi di prossimità, quelli più vicini, per allargare il diametro sino a invadere (sottinteso di fake news e di narrativa compiacente) l’intero agone mediatico internazionale.
Per farlo, si utilizza in primis e soprattutto il dissenso, manipolandolo sino a rovesciarne il significato: esempi macroscopici sono quelli di zona in Asia, ovvero Taiwan e Hong Kong, ma anche l’Australia e gli Stati Uniti, fra i desiderata principali del Dragone. Non sfugge all’artiglio neanche l’Europa, con la Svezia diventata principale laboratorio della propaganda, dopo i suoi tentativi di sfuggire, nel 2018, a una serie di attacchi perpetrati dall’Ambasciatore di Pechino, unitamente ai media e ai social cinesi.
Il tema della guerra psicologica s’interseca con quello del Diritto, meglio con quello della violazione del Diritto. Dalla dimensione immateriale di Internet sino a quella dei campi di sterminio e lavoro forzato nello Xinjang. E così, se da una parte i giovanissimi accoliti del PCC, iscritti al Gruppo della Gioventù Comunista, con l’appoggio di bracci operativi dello Stato riescono a violare gli account Facebook occidentali, affogando con oltre 40.000 messaggi di insulto un internauta australiano “colpevole” di aver primeggiato in una gara contro un Cinese, dall’altra l’etereo web diventa mezzo per avallare atroci crimini contro l’umanità.
Tali sono infatti le persecuzioni della minoranza musulmana uigura nello Xinjang, spesso (troppo spesso) maneggiate con negletta compiacenza da stampa e finanche istituzioni occidentali, quando non direttamente bollate come fake-news (è il caso degli scritti di Maxime Vivas, personaggio extrême gauche vicinissimo al Dragone). Sono infatti quattro anni, dal 2017, che Pechino “copia” Mosca nel moltiplicare le proprie virulente operazioni clandestine sui principali social occidentali, Facebook, Twitter e YouTube per primi, superandola peraltro in efficacia.
Sì, perché come scrivono Charon e Vilmer nel saggio anticipato da Le Monde, “la Cina seduce e soggioga, infiltra e costringe”, ed è così che intende essere rappresentata. Veniamo dunque al terzo punto della riflessione, analizzando cioè quello che della Cina appare. Ed è qui, se vogliamo, che oltre al danno si annida anche la beffa. Niente specchietti per le allodole, infatti, niente tentativi più o meno acconci di mascherare i propri intenti: la Cina si manifesta per quello che è, per quello che vuole essere, così come intende essere interpretata.