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La morte di George Floyd vista dall’Africa: razzismo, polizia, abuso di potere
Poliziotto durante degli scontri nello slum di Kariobangi, a Nairobi

La morte di George Floyd vista dall’Africa

L’omicidio di George Floyd ha scosso tutto il mondo, ma ha avuto enorme eco specialmente in Africa, da sempre molto legata a ogni afrodiscendente, dove le proteste contro l'abuso di potere della polizia statunitense si sono unite a quelle contro la violenza della polizia locale, aumentata soprattutto durante il lockdown imposto dall'emergenza coronavirus.

Il Forum degli ex capi di stato e di governo africani ha esortato tutti i paesi del continente a protestare contro l’assassinio di Floyd e chiedere giustizia. Lo Zimbabwe ha convocato l’ambasciatore americano a Harare. Proteste spontanee si sono verificate a Monrovia, capitale della Liberia, e Dakar, capitale del Senegal. In Guinea, l’Organizzazione per i diritti umani ha espresso preoccupazione per “questo ennesimo crimine razzista” e indignazione per la decisione di Donald Trump di inviare l’esercito contro i manifestanti.

Il presidente del Ghana, Nana Akufo-Addo, ha espresso in un tweet la propria solidarietà agli afroamericani, e la speranza che la morte di Floyd ispiri un cambiamento duraturo e positivo sul fronte dei diritti civili. Quando però gli attivisti dell’Economic Fighters League, un partito di opposizione, e i manifestanti antirazzisti si sono radunati nella capitale, Accra, per protestare, la polizia è intervenuta sostenendo che la manifestazione non fosse autorizzata e ha arrestato il leader del gruppo. Gli attivisti si sono allora spostati davanti al comando locale, per chiederne il rilascio, ma sono stati colpiti da alcuni proiettili sparati, secondo la polizia, da “una banda di agenti ribelli”.

Kenya: polizia violenta e coronavirus

A Nairobi, capitale del Kenya, centinaia di persone si sono radunate l’8 giugno per marciare attraverso la baraccopoli di Mathare, tra le più estese dello stato, chiedendo giustizia per George Floyd e per tutte le vittime di omicidi extragiudiziali, che avvengono con più frequenza proprio nelle zone più povere del paese.

Masai davanti a un murale che raffigura Floyd e la scritta "giustizia" nello slum di Kibera, a NairobiMasai davanti a un murale che raffigura Floyd e la scritta "giustizia" nello slum di Kibera, a Nairobi
 

Human Rights Watch sostiene che almeno 15 persone siano state uccise dalle forze dell’ordine dall’inizio del coprifuoco imposto per l’emergenza coronavirus, il 27 marzo. Uno di questi è Yasin Moyo, tredicenne a cui un poliziotto ha sparato con un fucile mentre giocava sul balcone di casa. Anche lì ha fatto tappa il corteo dei manifestanti, che alla fine è stato disperso dai gas lacrimogeni lanciati della polizia.

L’Independent Policing Oversight Authority, invece, registra numeri più alti: 20 decessi legati al coprifuoco e 87 denunce per omicidi, aggressioni e molestie. Juliet Wanjira, cofondatrice del Mathare Social Justice Center, ha dichiarato che la loro richiesta di giustizia riguarda anche gli Stati Uniti: “I poveri di Mathare sono solidali con i poveri d’America, i neri d’America. Vogliamo che sappiano che questa lotta è anche per loro”.

Sudafrica: razzismo, abuso di potere e violenza di genere

In Sudafrica, invece, gli esponenti del partito di opposizione, Combattenti per la libertà economica, si sono radunati in protesta davanti all’ambasciata statunitense a Pretoria e ai consolati di Città del Capo e Johannesburg, le capitali del paese, inginocchiandosi per 8 minuti e 46 secondi, lo stesso tempo che Derek Michael Chauvin ha tenuto premuto il suo ginocchio sul collo di George Floyd.

Dimostranti manifestano davanti al parlamento di Città del Capo per gli omicidi di George Floyd e Collins Khosa SudafricaDimostranti manifestano davanti al parlamento di Città del Capo per gli omicidi di George Floyd e Collins Khosa
 

Il presidente sudafricano Cyril Ramaphosa ha poi invitato il governo degli Stati Uniti a “disinnescare le tensioni razziali per costruire una più grande coesione sociale”, ma le proteste si sono scatenate anche contro di lui, accusato di non saper garantire la sicurezza del paese, dove per altro, a quasi trent’anni dalla fine dell’apartheid, il razzismo è ancora vivo sotto molte forme.

Il 4 giugno i manifestanti del movimento Black Lives Matter si sono presentati davanti al parlamento, a Città del Capo, per rendere omaggio non solo a George Floyd ma anche a Collins Khosa, sudafricano brutalmente picchiato dai soldati impegnati a fare rispettare il lockdown ad aprile. Pochi giorni dopo, la protesta si è riaccesa per due episodi di femminicidio, gli ennesimi registrati nel paese, che detiene il triste primato mondiale del maggior numero di casi di violenza sulle donne: mediamente uno ogni 6 ore, anche se solo il 2% delle vittime sporge denuncia.

A pochi giorni di distanza, sono state uccise Naledi Phangindawo e Tshegofatso Pule, ventottenne incinta il cui cadavere è stato fatto ritrovare impiccato a un albero in un parco pubblico. Le proteste via social hanno chiesto al presidente Ramaphosa e alla polizia di perseguire e punire i responsabili di tutti questi reati con lo stesso zelo con cui hanno fatto rispettare i divieti imposti per il Covid-19.

Soldati pattugliano un quartiere di Johannesburg durante il lockdown in SudafricaDei soldati pattugliano un quartiere di Johannesburg durante il lockdown
 

La Somalia e la minoranza Bantu

Sempre sui social ha diffuso il suo messaggio Najma Fiyasko Finnbogadòttir, fondatrice della piattaforma Mid-Show, che raccoglie interventi di attiviste somale impegnate nell’ambito della giustizia sociale. La ragazza si è congratulata con i tanti somali solidali con il movimento Black Lives Matter, ma ha anche ricordato che “le vite dei neri contano” anche quando “questi neri” sono i somali bantu, discriminati da generazioni, schiavizzati, costretti a sposare solo persone del proprio clan e ancora oggi insultati per i loro tratti somatici, differenti dal fenotipo somalo più diffuso.

Insomma, le proteste di afroamericani, africani e afrodiscendenti in qualsiasi parte del mondo sembrano dimostrare una forte presa di coscienza che va ben oltre la questione razziale, e sembra voler dire che la sola libertà vale poco se non è accompagnata da equità e giustizia, contro ogni discriminazione, etnica, di genere ed economica.

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