Vinti e vincitori. Per qualcuno conta solo questo, al di là delle cifre, dei contenuti, dei progetti e dell’Europa. Si può dire che fra i 27 paesi membri usciti dal negoziato sul Recovery Fund, ciascuno ha ottenuto ciò che chiedeva, tranne qualcuno. Al netto della documentazione che ha trovato l’avallo finale dei 27, e che ancora non è dato conoscere nei dettagli, da quanto trapela, Michel non è stato indulgente sul nodo dello Stato di diritto. Punto deliberato per acclamazione poco prima della mezzanotte. Si può evidenziare come l’altra novità della ‘nuova Europa’ uscita da questa plenaria, dopo la convergenza sull’emissione obbligazionaria comune (fino a poco tempo fa vero e proprio tabù), sia proprio l’aver legato la condizionalità dell’erogazione dei fondi al rispetto dello Stato di diritto.
È stata una partita che ha visto i Paesi del blocco di Visegrad per una volta all’angolo e che ha allontanato i tempi in cui mettevano sotto scacco i big europei. Il premier Victor Orban si è apprestato a dire di aver “bloccato ogni legame tra bilancio Ue e Stato di diritto” ma l'attivazione nel 2018 dell'articolo 7 dei Trattati da parte del Parlamento Ue (la norma da applicare ai paesi che violano lo Stato di diritto) ha avviato una procedura d’infrazione che spingerà a eliminare le forme illiberali di gestione del potere da parte del capo del governo ungherese.
Orban ha provato a giocare con ambiguità questa partita cercando una sponda con Roma che però non è arrivata. “Noi siamo con l’Italia e contro Rutte”, aveva affermato nel bel mezzo dei negoziati. Ma Conte proprio nella giornata di ieri era stato inequivocabile su questo: “Lo Stato di diritto non è in discussione”. Il principio fatto passare dalla Commissione e dal Consiglio Ue è che, se a casa tua fai leggi liberticide, non prendi i soldi del piano di rilancio. Sul fronte ambientale, invece, Varsavia ha portato a casa una non stringente correlazione tra i fondi e la transizione energetica, che richiede un processo più graduale data l’attuale dipendenza dal carbone (il 75% di energia proviene dalle fonti fossili).
Ma a mettere l’orecchio negli altri paesi europei, almeno quelli con radicate destre nazionaliste, non si capisce bene chi sia il vero sconfitto. Nei Paesi Bassi, in Francia e in Italia, il copione sovranista che lega Geert Wilders, Marine Le Pen e Matteo Salvini è lo stesso, e hanno già cominciato a recitarlo all’unisono. “Ha firmato l’accordo peggiore per la Francia”, ha detto la francese. "Buttati via miliardi che avremmo dovuto spendere nel nostro Paese", ha aggiunto il biondo ossigenato olandese e in Italia, nel giorno in cui si registra addirittura il riconoscimento di un osso duro come Giorgia Meloni (“Conte è uscito in piedi anche se poteva fare meglio"), Matteo Salvini ha già detto – senza ancora carte in mano – che "per l’Italia è stata una resa senza condizioni”. Mettendo in fila le dichiarazioni dei nazionalisti olandesi, italiani e francesi c’è qualcosa che non torna.
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