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Everest, più microplastiche e meno ghiacciai. Soffoca il tetto del mondo

Everest, la ricerca scientifica di National Geographic 

"Scalarlo senza bombole è diventato più facile rispetto all'inizio del secolo. La cusa è l'aumento delle temperature". Così gli scienziati della National Geographic and Rolex Perpetual Planet Everest Expedition sulla vetta più alta del mondo, dopo che tra aprile e giugno 2019 hanno condotto un’imponente campagna di ricerca a tutto campo. Tom Matthews,  uno dei partecipanti alla spedizione, sulla rivista On Earth, ha dichiarato: "Aumenterà sempre di più l’ossigeno disponibile per gli umani. Scalare l’Everest senza bombole è diventato necesariamente più facile". Nella loro campagna di ricerca, come si apprende da Repubblica, gli scienziati hanno piazzato ben tre stazioni meteorologiche: al secondo campo, a 6464 metri, al Colle sud, 7945, e sul cosiddetto balcony, il pianoro a 8430 metri dal quale sale l’ultimo pendio verso la cima sud. Mettendo a confronto dati attuali e storici e rilievi da immagini degli ultimi sessant’anni, hanno ricostruito il ritiro dei ghiacci dal tempo della prima salita a oggi. Secondo quanto riportata dalla rivista On Eart: "L'Everest si è assottigliato di oltre cento metri di massa di ghiaccio”. I ricercatori hanno realizzato serie temporali di misurazioni del cambiamento di massa del ghiacciaio, basate su immagini satellitari moderne e storiche della montagna.

Everest, sempre più plastica e meno ghiaccio

Nei rilievi sul balcony, si apprende da Repubblica, gli scienziati hanno inoltre trovato 12 particelle di microplastica per litro di neve. Al campo base, circa 3100 metri più sotto, ce ne sono 79 per litro. "È la più alta discarica al mondo – ha commentato Imogen Napper, National Geographic Explorer e scienziato dell’Università di Plymouth, in Gran Bretagna – Le microplastiche, comuni negli oceani, non erano state finora studiate in montagna. Il problema è che i pezzi di plastica più grandi sono generalmente più facili da rimuovere di quelli micronizzati”. E quest’ultimi, dispersi nella neve, finiscono prima o poi nel Dudh Kosi, l’impetuoso fiume che raccoglie le acque di fusione dei ghiacciai dell’Everest e, scendendo, disseta il Nepal orientale.

Come più volte hanno denunciato le associazioni ambientaliste più attente alla realtà dell’alta montagna, la catena degli ottomila da decenni è disseminata di rifiuti. Dagli anni Venti del secolo scorso e poi, sempre più massicciamente, da metà dei Cinquanta i rifiuti erano soprattutto metallo, legno e fibre naturali, ma in seguito sempre più plastica. “Gli esemplari raccolti – spiega ancora Napper – presentano significative quantità di fibre di poliestere, acrilico, nylon e polipropilene”. Come si apprende da Repubblica, sono i resti di tende, attrezzatura alpinistica, abbigliamento, soprattutto corde fisse, abbandonati da chi tenta l’ascensione dei giganti della Terra e, già sfinito dalle difficoltà e dalle condizioni meteorologiche, non si cura di ricaricare sulle spalle i propri rifiuti.

 

 

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