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L’Italia fatica a riprendere la strada dello sviluppo, le previsioni di crescita per il 2016 si realizzano lentamente, il Governo si muove con abilità nel quotidiano, ma occorre a questo punto formulare una vera e propria strategia efficace per fare in modo che le riforme messe in campo diano i risultati tra cui va segnalato come prioritario un alleggerimento dell’evasione fiscale.

Un cambiamento positivo sta avvenendo sul fronte dell’Europa. La battaglia di Renzi per modificare la politica di austerità imposta dalla Merkel è prioritaria, occorre insistere e perseverare in quella direzione cercando opportune intese e alleanze per rafforzare l’azione e giungere all’obiettivo.

In questo panorama, che ci presenta certamente una situazione che non va sottovalutata, un capitolo particolare è rappresentato dalla “telenovela” delle pensioni. In Italia le riforme delle pensioni si sono susseguite per anni, talvolta in modo lineare, ma molto più spesso in modo caotico e contradditorio, lasciando spesso l’amaro in bocca a chi si attendeva una vecchiaia tranquilla e confortevole.

Per parlare solo degli ultimi 25 anni, partiamo dalla riforma Amato del 1992 e dal graduale incremento dell'età pensionabile da 55 a 60 anni per le donne e da 60 a 65 per gli uomini. Con la riforma Dini del 1995 il sistema retributivo viene sostituito da quello contributivo: occorrono almeno 35 anni di contribuzione per avere la pensione di anzianità.

Il Governo Prodi nel 1997 modifica i requisiti di accesso alla pensione di anzianità per i lavoratori autonomi e parifica i pensionamenti anticipati della P.A. alle pensioni di anzianità erogate dall'Inps. Grandi cambiamenti anche sotto il Governo Berlusconi nel 2001: pensioni minime e pensioni sociali con importo minimo di un milione di lire al mese, poi nel 2003 pensione di anzianità a 58 anni con 37 anni di contributi, cumulo di redditi di lavoro autonomo e dipendente, parasubordinati parificati agli autonomi.

A seguire una raffica di altri provvedimenti: la riforma Maroni del 2004 con lo "scalone", poco dopo cancellato dalla riforma Damiano-Padoa Schioppa del 2007 con la creazione del sistema delle quote e il TFR rateizzato. Infine la deprecabile riforma Fornero del Governo Monti nel 2013, in parte smentita dalla Corte Costituzionale nel 2015.

Il brusco innalzamento dell’età pensionistica ha avuto nel corso del tempo effetti perversi sull’occupazione dei giovani. A questo si aggiunge il blocco generalizzato delle assunzioni nella P.A. e la diffusione incontrollabile del precariato e del lavoro nero. La disastrosa riforma Monti - Fornero, improvvisata in poche settimane perché l’Europa non poteva più aspettare, è stata sommersa dalle proteste di centinaia e migliaia di esodati che dalla sera alla mattina si sono trovati senza stipendio e senza pensione.

La riforma previdenziale della Fornero ha aggravato la compatibilità con la politica di sviluppo dell’occupazione in una concezione statistica della società: i pensionati sono considerati come numeri e non come persone.

Chiediamo ad Alessia Potecchi, Presidente dell’Assemblea Metropolitana del PD a Milano, che cosa ci possiamo attendere da una riforma nel 2016:

“Cambiano i Governi, si alternano i Ministri del Lavoro ma si continua a parlare di riforma pensionistica in ogni occasione per restringere i diritti degli anziani. Il meccanismo delle pensioni è stato modificato e rimodificato producendo spesso norme ingiustificate, confuse, contradditorie. La politica previdenziale ha partorito una serie innumerevole di pseudo riforme, purtroppo, su analisi superficiali costruite su luoghi comuni che animano in maniera irresponsabile i talk show”.

Qual’è dunque la verità? Il nostro modello di welfare per finanziare le pensioni prevede una tassa di scopo, i cosiddetti contributi sociali, mentre l’assistenza è finanziata dalla fiscalità generale. Alberto Brambilla, già sottosegretario al ministero del Welfare con delega alla previdenza sociale e docente all’Università Cattolica di Milano, nel Rapporto sul bilancio del sistema previdenziale italiano del 2016 ha evidenziato, cifre alla mano, che il bilancio pensionistico è quasi in pareggio con un modesto disavanzo di 560 milioni. Si dimostra così che il sistema previdenziale italiano si è stabilizzato nel corso degli anni. Ciò dovrebbe ridurre l’esuberanza di coloro che propongono tagli alle pensioni, deindicizzazioni, contributi di solidarietà.

“E’ anche necessario un uso meno disinvolto dei dati” prosegue Alessia Potecchi  ”Le notizie sbagliate e terroristiche sulle basse pensioni hanno l’effetto di aumentare elusione ed evasione contributiva, dissuadendo i giovani da una corretta contribuzione. Insomma l’approccio alla questione previdenziale va modificato. Il sistema previdenziale è stato tutto accentrato sull’INPS. Così come è strutturato non funziona. Occorre dividere la previdenza dall’assistenza anche istituzionalmente prevedendo due istituti ad hoc, al posto del colosso INPS.
Va decisa una governance che, autonoma nella gestione, abbia un sistema di controllo e monitoraggio espresso dalle parti sociali. Non si può accettare l’uso disinvolto e qualunquistico dei dati, è fondamentale che si realizzino operazioni di equità e solidarietà senza snaturare il ruolo della previdenza fondato sui contributi versati. Evitiamo il più possibili conflitti e contrapposizioni generazionali. Gli anziani, come i giovani, possono e debbono rappresentare una risorsa per il Paese”.

Che influenza può avere questo tipo di riforme nei confronti dei mercati finanziari?

“La separazione tra assistenza e previdenza rende trasparente la gestione della politica previdenziale. E’ stato dimostrato che i conti previdenziali sono in ordine: c’è la sostenibilità tra contributi versati e pensioni erogate. La stabilizzazione dei conti favorisce la propensione alla previdenza integrativa con effetti positivi nei mercati finanziari. La flessibilità limitata alla parte previdenziale (part time, penalizzazione delle pensioni anticipate, soluzione definitiva esodati) tonifica il mercato del lavoro aprendo opportunità ai giovani, con più posti di lavoro e quindi con più contributi. La parte assistenziale, come avviene in tutti i paesi industrializzati, va finanziata completamente con il sistema fiscale. Il giacimento da esplorare è quello dell’evasione fiscale. Si sta facendo molto. Occorre fare ancora di più”.

In effetti esasperare conflitti e contrapposizioni può consentire di raccogliere consensi nell’immediato, ma alla lunga questi consensi non si mantengono: sono effimeri. Il Paese ha invece la necessità di rafforzare la sua coesione e di non archiviare la solidarietà, ma non si può cambiare nulla se non si ha una visione critica del presente, se non si tiene il contatto con i dati della realtà economica e sociale.

“Anche nel cambiamento si deve essere europei” conclude Alessia Potecchi “Per antica abitudine, in Italia il cambiamento non è una cosa nuova che sostituisce il vecchio, ma una cosa nuova che si giustappone al vecchio e lo lascia sopravvivere. Conoscere per sapere, studiare per essere liberi e non subalterni, coesione ed unità del mondo del lavoro nella contraddizione delle grandi trasformazioni, il pensiero lungo che non si piega all’immediato, ma guarda lontano per disegnare una società eguale e giusta: ecco i compiti che si deve prefiggere una moderna politica”.

Paolo Brambilla

 

 

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