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Abbiamo bisogno degli intellettuali? Etica e responsabilità ancore di salvezza

Abbiamo ancora bisogno degli intellettuali? La crisi dell’autorità culturale, di Franco Brevini per Raffaello Cortina Editore: recensione

“Gli intellettuali servono alla società: informano, alimentano il dibattito pubblico, forniscono le coordinate concettuali, aiutano il pubblico a entrare nei meandri del pensiero, a ragionare con la propria testa” scrive Sabino Cassese nel suo pamphlet Intellettuali (il Mulino), concludendo le pagine  con un interrogativo che non cede ad ambiguità sulla funzione e il ruolo degli intellettuali nella democrazia attuale dove tutte le voci possono esprimere le loro opinioni finanche quelle cacofoniche attraverso i social networks, ma che l’intellettuale può parimenti guadagnare il proprio spazio per chi ha bisogno di cultura oppure può essere “reclutato” dalla politica.

Cassese ha una visione garantista, nessun timore né tremore. Si sofferma su questa figura, in parte - diremmo - vincolata a un presentismo apparentemente senza controllo e a una società in preda alla con-fusione dove ogni aspetto si fonde insieme nell’indistinto, in tutt’uno caotico. Di ben altre vedute è il saggio di Franco Brevini dove è chiara nell’immediato l’atmosfera che si andrà a respirare: la crisi dell’autorità culturale.

L’esigenza di un’auctoritas della cultura che vacilla: Simmel parlerebbe di “tragedia”, Nietzsche che nel tragico ha sviluppato il suo pensiero direbbe che viviamo in una “barbarie culturale”, la cultura di massa, “comune a tutti è per l’appunto barbarie”. 

Brevini fornisce nel volume Abbiamo ancora bisogno degli intellettuali? La crisi dell’autorità culturale per i tipi di Raffaello Cortina uno sguardo complessivo e particolareggiato sulla “cultura”, sulla sua strumentalizzazione e sulla necessità weberiana di “etica e responsabilità” per far sì che la navigazione riprenda la giusta rotta.

Dal bisogno degli intellettuali, quale fenomeno attrattivo, all’urgenza di un nuovo assetto culturale per una società depauperata dai suoi punti di riferimento, dall’autorità dei ruoli genitoriali all’asimmetrica relazione maestro-allievo. Tutto è discusso in modo approfondito. In altre parole, dall’effetto alle cause.

Brevini bandisce la tavola in modo ordinato invitando a partecipare al suo simposio con pensiero critico. Invita già nell’introduzione a porre attenzione alla cosiddetta “infodemia”, ovvero alla “crescita patologica delle informazioni scarsamente vagliate o basate su false voci che inevitabilmente disorientano l’opinione pubblica” e all’“illusione della conoscenza” che costituisce il contrario del “so di non sapere” di Socrate.

Il fisico Stephen Hawking ha scritto: “Il più grande nemico della conoscenza non è l’ignoranza, ma l’illusione della conoscenza”. Muove da una diagnosi attuale Brevini e tratteggia riga dopo riga, pagina dopo pagina, svelando una cornice alquanto chiara: la cultura non esiste se non come “mercificio”. Parafrasando Marcuse, l’Autore parla di “un mondo a una dimensione” dove si abbatte l’analfabetismo funzionale, “un’anoressia culturale” e una “bulimia bufalesca” più diffusa di quanto si possa pensare oltre a una “disgregazione democratica”.

La lente d’ingrandimento è indirizzata attraverso voci autorevoli di filosofi, scienziati, letterati su un mondo che andrebbe rivisto e ri-pensato. In definitiva, è come se la Contemporaneità si trovasse in un turbinio di una giostra che gira veloce e quando d’improvviso si fermerà, si cadrà incapaci di reggersi privi di fondamenta solide.

Proseguendo nel volume Brevini si sofferma sulle competenze, sulla mancanza di conflitto perché non è più riconosciuto il ruolo della paternità e l’autorità è indubbia, sulla sola presenza dei doveri, sull’assuefazione del sentito e di un parlare per eco. Ecco la necessità di insegnare a parlare, ad appalesarsi come pensiero critico nell’incontro, col dialogo.

Le parole di Nietzsche durante le conferenze tenute a Basilea nel 1872: “siete avvezzati a tentare la critica estetica in modo autonomo, mentre vi si dovrebbe guidare a un rispetto devoto per l’opera d’arte; siete abituati a filosofare in modo autonomo, mentre bisognerebbe costringervi ad ascoltare i grandi pensatori. Il risultato di tutto questo è che voi rimarrete per sempre lontani dall’antichità, e diventerete i servitori della moda”.

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