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Amazon, la moglie di un ex dipendente: "Mio marito in terapia dopo 6 anni di lavoro"

Turni di 80 ore a settimana, crisi di pianto e controlli anche in bagno. Dopo l'inchiesta-denuncia del New York Times non si placano le polemiche su Amazon. A denunciare l'inferno di Jeff Bezos, il miliardario fondatore, è ora la moglie di un ex dipendente.
“Caro Jeff Bezos, lunedì, in una lettera aperta ai dipendenti, hai chiesto di scriverti nel caso in cui fossero a conoscenza di storie simili a quelle pubblicate nel racconto, ora controverso, che il New York Times ha fatto delle pratiche di gestione del lavoro ad Amazon. Bene, Jeff, in quanto moglie di un ex Amazonian che ha lavorato per la tua azienda dal 2007 al 2013, ho pensato di accontentare la tua richiesta. Ovviamente, ci sono molti impiegati felici ad Amazon, ma ti consiglio di non essere così veloce nel dismettere la versione del Times: molti scenari e aneddoti raccontati nell’articolo si avvicinano molto alla realtà”. Inizia così la lettera firmata Beth Anderson e indirizzata all’amministratore delegato di Amazon, pubblicata su Quartz.
“Abbiamo abbandonato la nostra intera vita quando mio marito ha ottenuto un posto nella tua azienda. Lasciarci alle spalle amici e famiglia – per non parlare del mio lavoro – ci è sembrato un piccolo prezzo di fronte a un’opportunità così grande”. All’inizio, scrive Beth, tutto sembrava eccitante. “Piano piano, però, il luccichio iniziò a spegnersi”.
“Il team di mio marito era responsabile della gestione del trasporto di software nei magazzini. Con magazzini in giro per il mondo, mio marito veniva chiamato per risolvere problemi in Cina nel cuore della notte, in Inghilterra nelle prime ore del mattino e in Kentucky durante la giornata lavorativa. Durante le settimane in cui era ‘reperibile’, restavamo barricati nel nostro appartamento, isolati, incatenati al computer”. Entro 15 minuti dalla chiamata bisognava rispondere assolutamente. “Se poi la richiesta veniva direttamente da te, Jeff, non c’era verso di uscirne finché il problema non era risolto. Non importava a quale costo fisico o psicologico”. Guai a viaggiare in qualsiasi posto lontano più di 15 minuti da una connessione a internet.
Lo sfogo di Beth continua. “Senza figli, questi ritmi erano estenuanti. Quando sono arrivate le nostre ragazze, sono diventati insostenibili. Quando sono nate mio marito non si è potuto prendere più di due settimane, e così sono diventata una di quei genitori quasi-single, sposata a un compagno sposato col suo lavoro”. La lettera va avanti, con viaggi di lavoro quasi imposti al neo-papà e vacanze cancellate all’ultimo secondo.
Infine, l’epilogo. “Un giorno dissero a mio marito che non stava facendo abbastanza progressi con le iniziative del suo gruppo. Poco importava che non stesse più lavorando col capo che lo aveva assunto, o che i vertici del nuovo team cambiassero priorità ogni due settimane. Sicuro che sarebbe diventato l’agnello sacrificale utilizzato per spiegare i mancati progressi del gruppo, mio marito iniziò subito a cercare altre posizioni”.
Dopo quel meeting lo stress è stato tale – prosegue Beth – “che ho chiesto a mio marito di andare in terapia. È ironico, vero, che siamo stati in grado di permetterci un terapista così preparato proprio grazie ad Amazon?”.