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MediaTech
Coronavirus, Treu: "Nel lockdown da 500 mila a 8 mln lavoratori in smart"

Lo smart working da fenomeno di nicchia, quale era fino a poco tempo fa, è diventato un modo diffuso di lavorare. Il lockdown ha funzionato da forte acceleratore e ne ha cambiato in larga misura i caratteri". Lo scrive, in un contributo sul 'Sole24Ore', il presidente del Cnel Tiziano Treu. "Secondo i dati disponibili prima della emergenza lavoravano da remoto circa 500 mila persone, mentre nelle settimane di isolamento si stima che i lavoratori a distanza abbiano raggiunto gli 8 milioni", ricorda nell'intervento.

"Tutto - scrive - lascia prevedere che il lavoro a distanza è destinato a diventare sempre più diffuso anche oltre le condizioni di emergenza". Inoltre, continua, "molte aziende multinazionali di vari settori, sia dei servizi che della manifattura, hanno annunciato anche pubblicamente che una gran parte fino alla maggioranza dei loro dipendenti potrà lavorare a distanza. Questo cambierà radicalmente non solo il modo di organizzare il lavoro, ma anche la organizzazione delle aziende che dovranno gestire e coordinare, diversamente dal passato, chi continua a lavorare all'interno dei locali aziendali e chi in altri luoghi, spesso variabili. Non è detto che il tempo di lavoro diventerà irrilevante, ma certo dovrà essere valutato diversamente dal passato; e questo influirà sia sulla misurazione delle performance dei lavoratori sia sulla produttività aziendale".

Smart working, Treu: "Fenomeno sempre più diffuso"

Sul fronte delle norme, dice Treu, "l'esperienza dovrebbe suggerire un approccio sperimentale a questi problemi. La legge del 2017 ha opportunamente scelto di dare una regolazione leggera a questo tipo di lavoro. Ora sarebbe sbagliato e certo prematuro approvare una nuova normativa, tanto più se fortemente prescrittiva. Le migliori esperienze vanno seguite e se possibili estese, non ostacolate dalla legge. Anche la contrattazione collettiva deve intervenire con modalità nuove che regolino valorizzando le diversità. I contratti nazionali - scrive - non potranno che dare linee guida. Gli stessi accordi aziendali dovrebbero evitare di dare prescrizioni rigide di dettaglio; potrebbero invece fornire schemi aperti di riferimento per gli accordi individuali, una sorta di menù entro cui poter scegliere secondo le esigenze dei singoli e delle aziende, come si è talora sperimentato anche in Italia proprio in materia di orari di lavoro flessibili. Un nuovo oggetto di regolazione dovrà riguardare le piattaforme che gestiranno questo tipo di lavoro, come altri aspetti del lavoro nelle fabbriche del futuro; perché la configurazione e le regole di tali piattaforme saranno decisive 

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