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Sanremo 2024, le major della pubblicità sempre più lontane dalla gente

di Pasquale Diaferia

Dal fallimento del pensiero woke alla pubblicità occulta. Ora la creatività passa dalle realtà più piccole

Sanremo 2024, dal fallimento della visione woke alla pubblicità occulta. Ora la pubblicità passa dai più piccoli

Quella decina di milioni di italiani che in settimana si sono sorbiti le 5 serate del Festival, hanno avuto anche il piacere di assistere all’esibizione del meglio della creatività italiana. Sempre che, nelle pause, non fossero a cercare qualcosa in frigo, o a fare pipì.

Nella sfida con le canzoni in gara, gli spot, le sponsorizzazioni, le televendite ed i product placement hanno fatturato una sessantina milioni di euro. E quest’anno, annunciato come l’ultimo dell’Era Amadeus, era un’edizione particolarmente appetita, per audience e interesse di tutti i media. Al punto che gli uffici stampa delle agenzie si sono scatenati nel pre-lancio degli spot, sventolando scandali, “casi” e millantando idee dei creativi italiani.

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La verità vera è che all’interno di una produzione tradizionale basata tutta sulla presenza di celebrità che provano divani, bibite o biscottini, si è visto un profondo scollamento tra la visione woke che anima molto le agenzie, un po’ meno i consumatori, che punta a mettere in scena equality, diversity e inclusion, con modesti risultati creativi, e chi invece percorre strade che privilegiano le idee.

Molto stupore, per esempio, ha generato un piccolo spot da 15 secondi di un’agenzia pugliese, Micidial, che ha messo in scena errori tecnici, inciampi e scivoloni, cucendo il tutto con un super finale che ospita la confessione con strizzata d’occhio: quel che sappiamo fare bene sono le zanzariere. MV Line smonta in 15 secondi tutto il castello di costose PR e finta mitologia milanese. Una piccola struttura barese ha il coraggio di portare nel regno della plastica e della finzione una piccola idea, devastante e situazionista. Primo smacco per tutti quelli che hanno sostenuto che per andare in tv serve molto denaro ed esecuzioni smaltate.

Il secondo manrovescio arriva a tutti quei finanzieri delle multinazionali che hanno cercato nei diritti civili argomenti strategici e nel data driven e nell’AI una ragione di accantonamento dei creativi. Riporta tutti con i piedi per terra il terzo spot della saga Esselunga, presentato proprio a Sanremo. Il terzo di una serie di piccole storie semplici, emozionanti e che mettono in scena i problemi rilevanti che la gente sente vicini: la sofferenza di un padre all’addio di una figlia, in questa storia sanremese dedicata alla carota, e prima il coinvolgimento emotivo di una figlia per la separazione dei genitori (la pesca) e la tenerezza dei sentimenti che crescono nel tempo e faticano a palesarsi (la noce).

Uno manrovescio in faccia a chi pensa che gli algoritmi possano sostituire i creativi. Uno schiaffo doppio, perché la campagna arriva dalla microscopica agenzia di creativi italiani, i due Luca (Pannese e Lorenzini) che hanno lasciato il paese perché lo status quo non consentiva campagne di standard internazionale. E ora da New York gestiscono in modo originale un cliente italiano. Anzi, milanese.

Ma quello che ha davvero choccato la comunità della pubblicità di questo Festival, è stato l’affaire Travolta. Non sono state sorpassate a destra solo le grandi agenzie multinazionali (da una factory barese) ed i creativi woke da ADCI (da un copy e un art che sono dovuti andare altrove per esprimersi). Perfino la grande concessionaria Rai Pubblicità si è trovata con le sneakers di uno storico investitore Mediaset sul palco, senza contropartita economica e con la possibilità di condanna per pubblicità occulta.

Uno scivolone clamoroso di un’organizzazione poderosa e con straordinarie risorse economiche, che neanche la minaccia di denuncia Travolta dell’AD della tv, Roberto Sergio, è riuscito a ricomporre: “Voleva fare il ladro nella terra dei ladri”. In realtà l’emittente non è riuscita a esercitare un controllo che, per chi conosce questo mestiere, è cruciale, perché normato da leggi e regolamenti e, soprattutto, dove tutto avviene in diretta tv: quindi non camuffabile.

Insomma, viva Sanremo, viva le piccole agenzie non milanesi che lavorano meglio delle multinazionali, viva i creativi non woke che si esprimono meglio all’estero e, soprattutto, viva la Rai: stavolta è stata travolta da una trucida vicenda provocata da uno storico cliente Mediaset. E come diceva un grande vecchio: “A pensar male forse si fa peccato. Ma non si sbaglia.”