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Medicina
Hiv e Aids, Italia in ritardo nel contrasto alla malattia

Hiv e Aids, Italia in ritardo nel contrasto alla malattia 

Dopo due anni, interamente dedicati sia a livello sanitario che mediatico alla pandemia del Covid-19 con tutte le sue nuove varianti, qualcuno cerca di porre l’attenzione anche su altre problematiche mediche e affronta il problema di come il nostro paese sia attrezzato a contrastarle. E’ il caso ad esempio dell’HIV. A che punto siamo, ad esempio, con l’implementazione del PNAIDS, il Piano nazionale di interventi contro HIV e AIDS?

Aids, uno studio nazionale di Sda Bocconi e Gilead Sciences

Ne abbiamo parlato con Lucia Ferrara, “Lecturer” e Ricercatore del CERGAS SDA Bocconi. “Per rispondere a questa domanda-ci conferma la dottoressa- è nato lo studio APRI – Aids Plan Regional Implementation realizzato da SDA Bocconi School of Management con il contributo di Gilead Sciences. Capire cosa è stato fatto  a livello regionale per contrastare la diffusione dell’HIV e per la presa in carico dei pazienti HIV+ è il primo passo per migliorare l’accesso ai test, far emergere il sommerso diagnostico e implementare percorsi diagnostici terapeutici assistenziali che abbiano una ricaduta positiva in termini di decorso della malattia e qualità di vita dei pazienti”. E quali sono i risultati che emergono? “La prima fotografia scattata ha mostrato un quadro non proprio confortante: nel 2019, solo la metà delle Regioni aveva recepito il PNAIDS con Delibere regionali, solo nel 38% dei casi era stata nominata la Commissione regionale AIDS e solo il 37% delle Regioni aveva realizzato campagne di comunicazione per le popolazioni target e solo il 28% aveva definito un PDTA dell’HIV”.

Aids, le nuove sfide da affrontare

Eppure molto è stato fatto contro questa malattia? “E’ certamente vero. A quarant’anni dalla sua scoperta tanto è stato già fatto nella lotta all’HIV, ma le nuove sfide poste dall’invecchiamento della popolazione, dalla cronicizzazione della patologia e dall’aumento delle comorbilità nonché i progressi terapeutici richiedono una revisione dell’attuale modello organizzativo e di presa in carico dei pazienti, dalla diagnosi al follow-up. È necessario investire sull’integrazione verticale e orizzontale tra i vari attori coinvolti nella presa in carico dei pazienti, dal territorio, alla medicina generale, agli specialisti, alla comunità per raggiungere gli obiettivi fissati dall’UNAIDS al 2025, ovvero “i sei 95%” per cui si auspica che il 95% delle persone sieropositive sia consapevole del proprio stato, che il 95% delle persone diagnosticate abbia accesso alle terapie antiretrovirali, che il 95% di chi è in trattamento ottenga la soppressione della carica virale, che il 95% delle donne in età riproduttiva sia assistito da un servizio sanitario che ne assicuri i bisogni in termini di salute sessuale e riproduttiva e per il trattamento dell’HIV; che ci  sia il 95% di copertura dei servizi per l’eliminazione della trasmissione verticale del virus e, infine, che il 95% delle persone a rischio di contrarre l’HIV abbia accesso a una combinazione di opzioni personalizzate, appropriate ed efficaci”.

Aids, evidenziati molti ritardi nel contrasto alla malattia

Il progetto si è fermato a questa fotografia? “No assolutamente. Data la fotografia iniziale di un’Italia a diverse velocità nell’implementazione del PNAIDS, con ritardi in termini di comunicazione, sensibilizzazione, accesso ai test e percorsi di presa in carico dei pazienti, abbiamo avviato una seconda fase, APRI 2.0, che potesse supportare alcune Regioni nello sviluppo di linee di intervento esplorative e risposte organizzative e gestionali per applicare delle azioni specifiche del PNAIDS. Il progetto ha visto il costante confronto e la collaborazione degli attori coinvolti a livello locale e regionale per favorire la circolazione di informazioni e conoscenze. Non solo: è stata un’occasione preziosa per creare connessioni e favorire la collaborazione tra questi vari attori e per indentificare le leve di change management da attivare per iniziare processi di cambiamento”

Aids, i quattro casi regionali studiati 

E come vi siete mossi? “A partire dalle criticità emerse abbiamo dunque sviluppato quattro casi studio per dare risposte concrete agli ambiti prioritari d’intervento e ai bisogni emersi. Occorre quindi rafforzare i programmi di comunicazione rivolta alle popolazioni target, promuovere strategie e interventi di sensibilizzazione continuativa, diffondere la cultura e l’accesso al test, investire sulla presa in carico continuativa del paziente”. Qualche esempio concreto a livello regionale? “Gliene posso fare quattro relativi alla Regione Piemonte, alla Puglia, alla Sicilia e al Veneto. Con l’obiettivo di migliorare le occasioni per l’accesso allo screening e il linkage to care per la presa in carico delle persone con HIV è nato il case study con la Regione Piemonte, che ha visto un’azione coordinata e integrata tra servizi alla persona e alla comunità. Così sono state identificate nuove potenziali forme di connessione e coordinamento tra Distretto, Ospedale, SERD e Dipartimento di Prevenzione".

Aids, in PUglia maggiore integrazione tra ospedale e territorio

"Obiettivo invece del case study della Puglia è stato quello di gettare le fondamenta per il rafforzamento della connessione/integrazione ospedale – territorio quale base per la creazione della rete infettivologica pugliese. Sono infatti state identificate azioni concrete per rafforzare le forme di coordinamento ed evidenziata l’importanza di un maggiore investimento sull’integrazione tra i vari attori nella gestione della patologia. Il caso della Sicilia, invece, orientato a capire come migliorare il percorso di presa in carico integrato dei pazienti e come governare la filiera dei servizi, ha permesso di identificare gli standard che devono essere garantiti su tutto il territorio regionale nelle diverse fasi di diagnosi, trattamento e follow-up e di identificare un set di indicatori per il monitoraggio dei percorsi dei pazienti."

Aids, il lavoro in Veneto

Da ultimo il caso del Veneto ha inteso indagare la percezione dei pazienti HIV+ verso la telemedicina. Con l’obiettivo di sviluppare un modello pilota di presa in carico dei pazienti con HIV in una logica multicanale, sono state identificate le opportunità connesse con la presa in carico a distanza dei pazienti: multicanalità, tele consulto, televisita. E quali le sue ultime considerazioni sull’intero progetto?“Il progetto APRI testimonia come solo attraverso un impegno sinergico e la collaborazione tra diversi stakeholder si possa portare avanti la lotta alla pandemia da HIV. L’impegno preso dalle Istituzioni in occasione della giornata nazionale contro l’HIV è stato quello di contribuire per eliminare le limitazioni strutturali e gestionali-organizzative che impediscono un efficace contrasto alla diffusione del virus. Nella stessa occasione è stato firmato il primo Manifesto per un rinnovato impegno nella lotta all’HIV, senza barriere nell’implementazione sul territorio e senza divari tra regioni”.

 

 

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