Omeopatia e diritto alla salute: negare il diritto di obiezione del medico
La morte di un bambino vanamente curato con rimedi omeopatici per una banalissima otite e purtroppo deceduto riapre le discussioni
La recente e triste vicenda della morte di un bambino vanamente curato con rimedi omeopatici per una banalissima otite e purtroppo deceduto riapre un problema che da troppo tempo attende risposte concrete ormai non più rinviabili.
Invero il problema compendia due questioni alquanto complesse.
La prima riguarda i produttori dei preparati non convenzionali ed è connessa all’etichettatura delle confezioni di tali sostanze, quanto alle quali – in caso di mancata sperimentazione avvenuta secondo linee guida scientifiche accreditate a livello internazionale e non documentata su primarie riviste di settore previo processo di referaggio anonimo e indipendente – occorrerebbe una legge che imponesse l’apposizione di una dicitura facente riferimento all’indisponibilità di evidenze terapeutiche ponderate.
La seconda concerne invece la necessità di negare espressamente ex lege il diritto del medico all’esercizio dell’obiezione di coscienza pro omeopatia. Se, infatti, quanto al rifiuto di praticare l’aborto l’esercizio dell’obiezione di coscienza è funzionale alla salvaguardia di una vita in fieri, pari finalità a contrario avrà il suo divieto in ordine alla pratica di cure non validate dagli esperti.
Agire in tal senso, prima che altre vite siano sacrificate al nume dell’insensatezza, significa dare ulteriore attuazione al disposto dell’art. 32 della Carta Costituzionale, che sancisce – come noto – il diritto alla salute di ognuno (da declinarsi quale diritto di informativa e diritto di scelta sulle cure da ricevere, e sui relativi effetti ragionevolmente prevedibili, durante lo stato di malattia).
Speriamo che i riflettori non si spengano tra qualche giorno per essere riaccesi al prossimo decesso.
Mario Tocci
avvocato e docente universitario