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Politica
Aboubakar Soumahoro: "Nessuno tutela chi ha fame. Adesso entro io in politica"
Nato in Costa D'Avorio, Aboubakar Soumahoro vive in Italia dal 1999, quando aveva 19 anni. Si è laureato in Sociologia all'Università Federico II di Napoli con voto 110/110 con una tesi su “Analisi sociale del mercato del lavoro. La condizione dei lavoratori migranti nel mercato del lavoro italiano: persistenze e cambiamenti”

Come si chiama questo nuovo soggetto politico e quali saranno i suoi prossimi passi?

La “Comunità Invisibili in Movimento” si rivolgerà ai precari. A quelli della cultura chiederemo quali provvedimenti servirebbero per rilanciare un settore che non è certo un lusso. Col mondo agricolo discuteremo di azioni per tutelare la dignità e i diritti dei lavoratori, producendo nel contempo un cibo sano. Non si può andare in Europa e votare una certa PAC, per poi tornare in Italia e parlare di “transizione ecologica”! Penso all'ILVA di Taranto, ma anche alle donne di cui parliamo l'8 marzo, per poi lasciarle di nuovo sole: come si deve affrontare la disparità salariale? Alle tante persone che, lontano dai riflettori, si svegliano presto la mattina per andare a lavorare parleremo di nuove politiche del lavoro, soprattutto nelle aree con più alti tassi di disoccupazione giovanile. E agli italiani all'estero, dei quali ci si ricorda solo per chiedere il loro voto, parleremo di disagio abitativo, problema che riguarda tanti giovani. Tutto questo lo faremo con l'obiettivo di costruire un vero “progressismo trasformativo”

Se questo è l'obiettivo, immagino che il suo progetto non si senta rappresentato dalla principale forza progressista del Paese, ovvero il PD. Sbaglio?

Il progetto non è “mio”. Non voglio parlare di “noi” e di “io”. La nostra sarà una leadership collettiva, perché dobbiamo liberarci dalla prigione dell'individualismo/egocentrismo. Dobbiamo mettere la persona al centro e tutti saremo al servizio di un progetto che mira a sollevarci dall'invisibilità della precarietà e dal dolore che spesso nessuno vede, perché ha a che fare con la solitudine, anche quando le condizioni economiche non sono buone. “Noi”, ribadisco il plurale, non siamo per il mantenimento dello Status Quo

Opportuna precisazione, ma non eluda la mia domanda: intende dire che il PD invece è il partito dello Status Quo?

Intendo dire che sentiamo questa istanza di cambiamento dentro di noi, perché sappiamo cosa vuol dire dover scegliere tra pagare l'affitto o dare il cibo ai nostri figli. Oppure rinunciare alle medicine, oppure decidere di rinunciare a prendere il treno in quanto pendolare o fare la fame! Chi non vive queste situazioni non può capirle, ma c'è un dato che impressiona: in Europa ci sono 95 milioni di persone esposte alla povertà e all'esclusione sociale. Se non partiamo da qui, non si può uscire da quaesta fase. Il problema è che non ci si riesce ad immedesimare nei problemi degli altri, ma guardate che i nostri giovani sono degli eroi, che stanno convivendo con una forma di solitudine che nessuno capisce!

Non la si capisce oppure si è incapaci di risolverla?

Io credo che per valutare la qualità della vita nella nostra società dovremmo adottare il criterio della felicità. Sto usando l'immaginazione? Sto sognando? Eppure noi siamo fermamente convinti che ci si possa davvero riuscire

Le confesso che era da tempo che non sentivo parlare di politica con tanto slancio passionale...

Da qualche parte si è persa la capacità di drammatizzare le condizioni che si incontrano. È quello di cui parla Hannah Arendt ne “La banalità del male”: una sorta di assuefazione e normalizzazione, che oggi ci porta a spogliare i numeri dalla loro dimensione carnale, ovvero dalle storie degli esseri umani che stanno dietro. Tutto è ridotto a un mercato, nel quale chi è più abile a manipolare le parole ottiene più clienti. Ma qual è il progetto di società? Come si immagina l'Italia del 2030? Eppure il Paese di domani dovremmo cominciare a costruirlo oggi, altro che sventolare la transizione ecologica come se fosse una bandiera! Penso piuttosto all'edilizia pubblica popolare, all'housing sociale, ai nuovi bisogni delle realtà colpite da un modello economico avido. Quando certa politica perde questa visione, ci si trova di fronte alle dichiarazioni che cambiano dal mattino al mezzogiorno, ci si perde nel tran-tran quotidiano. Noi vogliamo invece lavorare sul cambiamento in senso positivo, dando al disagio delle risposte pragmatiche, ma con una forte componente di immaginazione. Non parlo di utopia a se' stante, ma di scelte concrete che abbiano a che fare, ad esempio, col tassista che ti racconta che è fermo in strada da cinque ore perché nessuno lo chiama. Oppure ai ristoratori che, nonostante il Recovery Fund, devono comunque far fronte a spese elevatissime. O alle Partite IVA. O ai tanti invisibili

Il termine “invisibili” viene usato con varie accezioni: la sua qual è?

Parlo delle persone che proprio non risultano all'anagrafe, ma anche di coloro che si vergognano a dire che hanno fame. Perché siamo arrivati a vergognarci del disagio? Perché è venuta a mancare la connessione sociale. Non c'è solamente il distanziamento fisico imposto dal Covid-19, ma anche un distanziamento sentimentale

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