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Politica
Caso Lupi, se Nenni si rivolta nella tomba

di Pietro Mancini

Tempi da...Lupi, quelli odierni, con i governanti-la maggioranza dei quali non ricorda proprio nè Nenni, nè De Gasperi, nè Togliatti-arrivati sulle poltrone ministeriali non dopo aver superato le dure selezioni interne, come avveniva nei partiti post-Liberazione. Bensì cooptati sulla base dell'obbedienza ai leader e, una volta nominati, non sottoposti al rigoroso controllo democratico del Parlamento nè incalzati da una opposizione debole e silenziosa.

In questo contesto di politica, tutt'altro che autorevole e forte, quelli che, ieri, sul "Corriere della Sera", Sergio Rizzo ha definito i mandarini, tessono la loro abile ed estesa ragnatela, esercitando il potere reale. E, dunque, l'inchiestona  di Firenze sulle Grandi opere, come altre in passato, evidenzia una grande e pericolosa confusione di ruoli, con la sfera della politica, che appare subalterna alla Casta più influente, quella degli alti burocrati, che dirigono l'orchestra degli appaltoni e delle tangenti connesse. E il Parlamento ha abdicato alle proprie prerogative legislative in favore degli alti funzionari dei ministeri. Costoro scrivono i provvedimenti e poi "ordinano" ai parlamentari di approvarli, suggerendo persino gli emendamenti. In passato, agli albori della Prima Repubblica, non è stato così. È rimasto famoso uno dei più incisivi slogan di Pietro Nenni, il leader romagnolo, che portò, nei primi anni 60, i socialisti nella "stanza dei bottoni": "Politique d'abord, l'intendence suivra"!

L’orizzonte, per Nenni, era la politica, il lavoro quotidiano per incanalare proteste e pulsioni, altrimenti foriere solo di manovre reazionarie e di preoccupanti "tentennar di sciabole". Tutto ciò significava, per Nenni, "politique d'abord": non un elogio della politique politicienne e della sua disinvoltura, manovriera e autoreferenziale. Ma una netta presa di distanza sia dal determinismo economicista, proprio del marxismo, che dal rassegnato minimalismo dei conservatori, che dalla prevalenza sui partiti degli eterni burosauri.

Quando, oggi, sento e vedo all'opera alcuni ministri velleitari, pasticcioni, parolai, poco attenti ai problemi reali dei settori e delle categorie, che da loro dipendono, e molto interessati alle apparizioni nelle Tv e alle "interviste in ginocchio" dei giornali, ripenso alla concretezza del vecchio tribuno di Faenza, Nenni, ma anche ai ministri socialisti degli esecutivi del centrosinistra. Da Giacomo Brodolini, il padre dello Statuto dei diritti dei lavoratori, ad Antonio Giolitti, che al Bilancio tentò di invertire la tendenza, secondo cui erano le grande industrie, in primis la Fiat di Agnelli,  a imporre la linea di politica economica al governo, a Giacomo Mancini, che uno dei più noti urbanisti italiani, di area comunista, Vezio de Lucia, ha definito "il miglior ministro dei Lavori pubblici dei governi post-Liberazione". Tutti personaggi non facilmente condizionabili dai "poteri forti" dell'epoca.

La recente fiction di Rai1, diretta dal figlio dell'ex Capo dello Stato, il dc Giovanni Leone, si è guardata bene dal ricordarlo, ma fu Mancini, dal dicastero di Porta Pia, a completare l'Autostrada del Sole e a battere i pugni sul tavolo del Consiglio dei ministri per ottenere il disco verde del governo all'Autostrada Salerno-Reggio Calabria. L'opera fu progettata per rompere l'isolamento del Sud e venne realizzata in tempi brevi : poco più di 10 anni, iniziata nel 1963 e inaugurata nel 1974.

L'Ercole Incalza dell'epoca si chiamava Giuseppe Rinaldi ed era il temuto e influente direttore generale dell'ANAS, sino ad allora abituato a considerare, come oggi, ministri e i parlamentari subordinati all'alta burocrazia. Il ministro Mancini lo licenziò, a causa delle difficoltà e delle resistenze, che Rinaldi aveva frapposto all'accelerazione dell'importante opera, come spiegò nel 1965, in un affollato comizio a Sala Consilina : "I nostri padri ci hanno insegnato che Cristo era socialista. Ma, contrariamente a Carlo Levi, noi faremo in modo che Cristo e i meridionali non debbano fermarsi, eternamente, ad Eboli e rinunciare ad avere la loro Autostrada". Come Incalza, anche Rinaldi, che il titolare dei Lavori pubblici  sostituì con il più efficiente ingegner Nicola Chiatante, aveva intessuto molti rapporti con i politici, in primis con i notabili della DC, convinti che il centrosinistra non sarebbe durato a lungo e la poltrona più alta di Porta Pia sarebbe, presto, passata dalle mani del caparbio ministro calabrese a quelle di qualche uomo, più accomodante, della vorace "Balena bianca".

Spetta, ovviamente, ai giudici accertare le responsabilità penali degli indagati e dimostrare la tesi, secondo cui un sistema corruttivo abbia controllato gli appalti del nostro Paese. Il governo Renzi-Alfano e il Parlamento, oltre alla rottamazione dei corrotti e alla rotazione dei mandarini inamovibili, hanno il compito, non facile ma inderogabile, di ristabilire la separazione, netta, tra politica e burocrazia.
 
P.S. A me, figlio di uno dei predecessori di Lupi al vertice dei Lavori Pubblici, nessuno ha mai regalato un Rolex d'oro. Solo una medaglietta, da Moratti senior, dopo la vittoria della Coppa dei Campioni, nel 1964, dell'Inter, il mitico squadrone di Armandone Picchi, Sandrino Mazzola e Mariolino Corso, su cui scrissi il mio primo pezzullo di cronista, sul "Corriere dello Sport", diretto dal grande Totò Ghirelli.

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