Quella Grecia che non merita l'euro
Di Ernesto Vergani
I sospetti dovevano già esserci nel novembre del 2004 quando l'allora ministro delle finanze ellenico, George Alogoskoufis, ammise che tutti i parametri di budget per entrare nell'euro nel 2001 erano stati truccati.
Già allora doveva essere chiaro che, come in amore, è sorprendente non tanto che uno dei due menta, quanto che l'ingannato non potrà più credere. Più in generale la Grecia era stata fatta troppo frettolosamente aderire all'euro.
Uno Stato che non è in grado di raccogliere le tasse, dove 6 milioni di persone su 11 non presentano dichiarazioni dei redditi, dove gli armatori sono per legge costituzionale esenti dai profitti realizzati all'estero, è uno Stato insostenibile.
Nonostante ciò, come in una casa in cui un fratello è in difficoltà, si è deciso di aiutare la Grecia. Il patto era che il fratello cambiasse vita, che facesse le riforme strutturali. E per questo Ue, Bce e Fondo monetario internazionale hanno finanziato la Grecia. Il credito della sola Italia è di oltre 40 miliardi.
Il governo di Antonis Samaras si stava comportando da fratello che aveva deciso di stare nell'euro nell'unico modo possibile, quello del rispetto delle regole. Dopo cinque anni in cui il pil era sceso del 25%, il pil a gennaio 2014 segnava un +0,6 e le previsioni del 2015 un +2,9%.
Uscire dall' austerity è un processo lungo e doloroso. I benefici per il popolo arrivano tardi. Con l'affermazione di Syriza alle elezioni anticipate di gennaio e l'incarico di governo ad Alexis Tsipras (di formazione comunista) il fratello greco ha iniziato a non rispettare le regole, si rifiuta di restituire i soldi che gli erano stati prestati.
La Grecia non vuole innalzare l'età pensionabile a 67 anni, cosa che faranno a breve Paesi Bassi, Regno Unito, Germania (in Usa si discute di portarla a 70 anni), alzare l'Iva al 22%, tagliare le spese militari, in proporzione le più alte in Europa, vuole riassumere 15mila dipendenti pubblici.
Ora Alexis Tsipras ha unilateralmente deciso di non rimborsare il prestito. Per giunta giocando un'ultima pessima carta: il referendum di domenica pro o contro l'austerity (lui voterà no). Una scelta dilazionatoria e pilatesca. Il popolo greco lo ha nominato e lui e il suo governo, dovevano, responsabilmente, decidere.
La libertà di ciascuno finisce dove inizia quella degli altri. La Grecia e i greci possono fare ciò che vogliono, ma non distruggere l'Europa e la visione di tutti quegli europei che credono nei futuri Stati Uniti d'Europa.