Politica
Conte, il peccato originale del professore commesso il 28 febbraio 2018

Candidato da Luigi Di Maio al Ministero della Pubblica Amministrazione
E’ avvocato, parla fluentemente diverse lingue, si sa muovere sugli scenari internazionali con classe, dimostra coraggio, è competente sulla materia giuridica e onesto a tal punto da ammettere se in qualcosa non è sufficientemente preparato. Certo Giuseppe Conte è un premier con i fiocchi che ha fatto ‘innamorare’ pure Donald Trump e ricevuto rispetto dai capi europei, compreso il presidente francese Macron, proprio nel momento peggiore dei rapporti tra Italia e Francia.
Probabilmente non buca il video, ma questa non è certo una colpa (è un dono naturale che si ha o non si ha), e questo neo potrebbe forse sfavorirlo nel caso decidesse di farsi un partito. Ed allora quale sarebbe il problema? Il problema, se di problema si può parlare, sta nel suo peccato originale. Un peccato nato ‘ufficialmente’ il 28 febbraio 2018 quando, sulla scia dell’entusiasmo pentastellato Luigi Di Maio lo presentò, con una metodologia mai usata in Italia, come candidato a Ministro della Pubblica Amministrazione del futuro Governo a trazione grillina.
Quali punti di contatto può’ avere un profilo di questo tipo con il profilo di chi il Movimento se lo è inventato e orientato? Difficile trovarne qualcuno. Da candidato ministro a premier in due legislature, un passo, anzi un balzo non facile ma l’uomo, visto come outsider da quasi tutti, ha dimostrato di saperci fare e di meritare quel posto. Adesso però nasce il problema di incoerenza: come fa il premier del 7° Paese più industrializzato al mondo a portare avanti la crescita dello stesso seguendo i diktat e l’ideologia del M5S che non voleva, tra l’altro, il TAP, la TAV, la stessa ex Ilva e neppure le Olimpiadi invernali e ha voluto con forza il discusso Reddito di Cittadinanza?
La contraddizione è emersa abbastanza chiaramente nel corso della sua visita di venerdì allo stabilimento di Taranto. Costretto ad andarci in prima persona, perché difficilmente avrebbe potuto andarci un ministro pentastellato (che in quella città ha preso i voti promettendo la chiusura dello stabilimento) si è dimostrato abile e coraggioso. Con tutta onestà ha detto di non avere la soluzione in mano ma in realtà qualcosa aveva già in mente da poter spendere visto che già domani sembrerebbe già in agenda un nuovo incontro con Arcelor Mittal.
In mano avrebbe due assi: condizioni economiche più favorevoli per l’azienda, qualche aiuto dallo Stato e soprattutto il ripristino della scudo penale. E questo significa che finalmente ha deciso, anche senza la Lega, di bloccare l’ideologia antindustriale di una parte del Movimento grillino e di portare ( eufemisticamente) sul tavolo della trattativa la ‘testa’ della senatrice Barbara Lezzi, la ribelle grillina strenua accusatrice dello scudo penale.