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Politica
Election day, quello “stretto passaggio” per Conte e il suo governo
 

Non c’è nel Paese, per il voto di domenica e lunedì, la tensione politica delle grandi elezioni, dei grandi scontri fra i partiti sulle idee, i progetti, le cose da fare. Così gli italiani non partecipano, assistono da spettatori. Pesa la paura del Covid tant’è che addirittura molti fra presidenti di seggio (uno su due!) e scrutatori hanno dato forfait. La preoccupazione per il contagio e il disinteresse politico avranno ripercussioni sulla partecipazione alle urne, accentuando l’astensionismo. Neppure il referendum usato come specchietto per allodole nella foga anti casta pare convincere gli italiani per andare tutti alle urne. Anche perché  l’appeal del SI, cioè del taglio sic et simpliciter dei parlamentari stimolando con demagogia e populismo il sentimento dell’anti politica, pare arrancare di fronte a una nuova riflessione in senso contrario ridando forza al NO come difesa della rappresentanza democratica, delle istituzioni, della Costituzione. Non solo. Anche il referendum è politicizzato. Il SI viene inteso come supporto e sostegno al M5S in crisi e ciambella di salvataggio al governo.

Il NO come colpo di grazia ai 5stelle destabilizzando l’alleanza giallorossa, aprendo al nuovo. Il Paese, grazie soprattutto al premier Conte e a chi nell’esecutivo ha agito con coerenza, non è stato travolto dalla pandemia. L’Italia resta però in bilico, fra l’uscita dalla palude o l’affondare, con l’economia disastrata in attesa di rendere operativi gli aiuti EU, non come tappabuchi ma come segnale e spinta di un ampio e profondo rinnovamento generale sulla base di un progetto strategico che però non c’è. Niente è facile né scontato, specie in un quadro politico confuso e instabile, dove non è chiaro cosa vuole davvero chi governa, oltre che tenersi stretto il potere, e cosa vuole davvero l’opposizione, oltre a fare di tutto per rientrare nelle stanze dei bottoni. Così la bonaccia può trasformarsi in tempesta.

La posta in gioco è alta. L’election day è, comunque, la cartina del tornasole della politica italiana: un test per il governo e per i partiti di maggioranza, Pd e 5Stelle in primis, e per le rispettive leadership, ma il termometro anche per le opposizioni, Salvini in testa. I partiti della maggioranza, specie il Pd, avranno fatto un patto con il premier, sul dopo elezioni. Come la storia insegna, i patti per evitare il peggio non portano bene. Così nessun accordo pre elettorale fra il capo del governo e Pd e 5Stelle regge se i due partiti cardini della maggioranza escono sconfitti dalle urne. Se dem e 5Stelle (o anche uno solo dei due partiti) venissero travolti dal voto sarà sicuramente crisi di governo, anche se formalizzata dopo un lungo travaglio, anche se si faranno carte false pur di evitare le elezioni politiche anticipate. Sminuire, come hanno fatto Pd e 5Stelle, per timore del risultato e per calcoli di parte, il significato e la portata politica del voto è un errore politico di cui poi ne pagheranno le conseguenze. E’ un po’ come mettere le mani avanti sentendo già addosso la sberla di una batosta annunciata. Oggi c’è una alleanza di governo male in arnese, che regge ancora grazie al premier di spessore, gran “tessitore” e  “tappabuchi”. Ci sono il Pd (che temendo la debacle rilancia l’allarme antifascismo) e il M5S (che temendo la sforbiciata della propria residua forza elettorale rilancia il refrain dell’anticasta) senza basi ideologiche e politiche comuni, senza un progetto riformatore, uniti solo dal potere per tener fuori da Palazzo Chigi Salvini e il centrodestra: due partiti l’un contro l’altro armati fino a poco più di un anno fa, incapaci persino di trovare un accordo per allearsi in queste delicate elezioni regionali. Questa maggioranza, nata nelle alchimie parlamentari dopo la caduta del Conte1 per il patatrac provocato da Salvini con la “sbornia” delle Europee del maggio 2019, non ha poi trovato conferme in successive elezioni amministrative e da mesi soffre nei sondaggi che vedono il centrodestra saldamente davanti al centrosinistra.

Se davvero il Pd perdesse lafortezzaToscana  e se davvero finisse 16 a 4 a favore del centrodestra, e se addirittura il SI vincesse di misura poco sopra il 60% dopo essere stati certi del “cappotto”, Pd e M5S per primi - ma lo stesso premier Conte - non potrebbero mettere la testa sotto la sabbia come struzzi, facendo spallucce. Non è questione di bon ton. Sarebbe farsi beffa degli elettori tirando al limite lo spirito della Costituzione. Il Colle sarebbe chiamato a una riflessione dalle conseguenze oggi inimmaginabili. L’election day pesa e peserà. Può mettere a nudo la crisi del M5Stelle e la vera consistenza elettorale mettendolo all’angolo e portandolo alla scissione. Può togliere il coperchio al pentolone bollente del  Pd che se perde davvero la Toscana va in tilt, con la crisi della segreteria e con mezzo governo a casa. Se però il Pd tenesse, potrebbe alzare il tiro: un rimpasto o addirittura un nuovo esecutivo con i 5Stelle ridimensionati, messi a cuccia. Il rischio è di alzare un gran polverone e ritrovarsi con un “governo tecnico” o, addirittura, di nuovo alle urne. Stavolta per le politiche. Il premier osserva, per ora. Se però lunedì sera dopo lo spoglio elettorale succede il patatrac a Conte non resta che la via del Colle. 

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    elezioni referendum governo conte





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