Elezioni 2018: votare, nonostante tutto - Affaritaliani.it

Politica

Elezioni 2018: votare, nonostante tutto

Massimo Falcioni

Elezioni 2018, la tentazione dell’astensione dal voto è forte. Ma...

La tentazione dell’astensione dal voto è forte. Specie per chi ha subito e subisce di più i morsi di una crisi che ha allargato la forbice di disuguaglianze e ingiustizie alimentando delusione, disorientamento, rancore. Il solco profondo fra cittadini e politica divide la testa del Paese dal suo corpo, indebolendo tutto e tutti, scardinando le fondamenta della convivenza civile e della democrazia. Per la sorda autoreferenzialità del Palazzo, c’è nei cittadini la convinzione dell’inutilità della partecipazione alla politica e dal voto stesso, un rifiuto nel comprendere cause e differenziare colpe, chiusi fra passività e rabbia. La campagna elettorale è stata per i partiti l’occasione perduta con la demonizzazione degli avversari e la pioggia delle promesse, mirabolanti quanto illusorie. Ciò ha tolto ogni dubbio rispetto alla qualità e alla credibilità di partiti e candidati che nascondono la verità sullo stato reale del Paese e si vergognano di usare la parola “inciucio” di fronte alla prospettiva del dopo 4 marzo quando, per evitare il caos, si imporrà una intesa fra partiti di coalizioni diverse (Pd, Leu, Forza Italia ecc.?) formando alla meno peggio un governo con l’obiettivo di cambiare la legge elettorale e tornare poi alle urne. Non saranno certo gli ultimi appelli a convincere gli indecisi a votare per ottemperare a un dovere civico e neppure la considerazione che il diritto del voto è una grande conquista democratica e quindi va esercitato. Milioni di italiani non andranno comunque ai seggi, altri voteranno scheda bianca o invalideranno la scheda elettorale formando verosimilmente il partito più numeroso, ben oltre il 30%.

Una astensione elettorale non più fisiologica ma “atto politico” consapevole contro i partiti e contro la “classe dirigente” del Paese. Una astensione tesa a delegittimare il nuovo parlamento e il nuovo governo, nella convinzione che chiunque comanderà non modificherà, o per incapacità o per impotenza o per interesse, l’andazzo in corso.

Sono segnali allarmanti che i partiti devono saper cogliere ma non colgono considerando l’astensionismo un “non problema” perchè “chi non vota non conta” e forti del fatto che decisivi per il loro potere sono le percentuali, i seggi, le alleanze. Dopo il 4 marzo, l’astensionismo passerà in secondo piano, con i partiti tutti presi a mercanteggiare percentuali e seggi. Gli astenuti rimarranno con le pive nel sacco, fuori gioco, con altri che decideranno comunque anche per loro. La soddisfazione del: “tanto non cambia niente” sarà di breve durata perché il cambiamento avverrà e non certo a favore di chi si è astenuto. La forte astensione dà più potere agli apparati e al voto pilotato e imposto per cui paradossalmente chi comanda nei partiti ha di solito buon gioco dalla scarsa affluenza perché lo “zoccolo duro” sotto controllo va comunque a votare e quei voti sono poi decisivi per il potere. A prescindere dal numero degli astenuti il nuovo parlamento ci sarà e ci sarà un nuovo governo che deciderà per tutti gli italiani. Allora? La legittimità dell’astensione deve essere superata dalla consapevolezza che votare fa la differenza, quindi – pur con il rospo nel gozzo e tappandosi il naso – ognuno esprima in piena libertà il proprio diritto-dovere costituzionale, votando. Un voto vale un voto ma, non essendo la politica una scienza matematica bensì uno strumento di flessibilità o - come si dice – l’arte del possibile, si vota per far vincere il proprio candidato e/o il proprio partito o addirittura si vota un altro per diverse esigenze: ad esempio per non far stravincere nessuno o, addirittura, per “punire” qualcuno (ad esempio votare Leu o Pal in funzione anti Renzi o anti Pd e viceversa o votare la coalizione di centrodestra o di centrosinistra per arginare il M5S o viceversa per l’ultimo avviso alle altre forze politiche ecc.). Non solo. Andare a votare è un primo passo per ricollegare il filo spezzato fra cittadino-elettore e politica-partiti-istituzioni. Il voto è un “pass” per legittimarsi alla pari con altri, per farsi aprire le porte sbarrate dei partiti. I partiti, pure in modi e contenuti diversi dal passato, costituiscono gli assi portanti che sorreggono l’intero assieme nazionale contribuendo a dargli un profilo identitario, quindi un valore di cui ogni cittadino è parte integrante nel doppio ruolo del dare e del ricevere. Lo smantellamento dell’intelaiatura rappresentata dai partiti di massa ha indebolito, fino a minarlo, lo stesso tessuto nazionale con i cittadini sempre più chiusi in se stessi e i partiti sempre più distanti. Così i politici si sono arrogati il diritto di fare i fatti propri e non più gli interessi generali e i cittadini si sono crogiolati nell’anti politica cadendo nella trappola del populismo e della demagogia. Tocca agli italiani riaprire con decisione le porte dei partiti perché è casa loro. Primo passo, andare a votare il 4 marzo e poi far pesare quel voto, ognuno come può e pensa, iniziando dal partito e dal candidato votati. Impossibile? No. Certamente non facile, Ma non ci sono scorciatoie e bisogna ripartire con lucidità e pazienza per il bene di se stessi e per ridare un futuro al Paese.