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Politica
Elezioni 2022, Di Maio: la caduta dell'usignolo del Vesuvio
Luigi Di Maio (Lapresse)

Elezioni politiche 2022, Luigi Di Maio con Impegno civico resta fuori

Solo tre anni fa Luigi Di Maio era l’uomo più potente d’Italia. Un potere da satrapo orientale che smazzava con Matteo Salvini nel governo giallo – verde. Soffiava da oltre Atlantico una poderosa tramontana sovranista di nome Donald Trump con il suo “America First” e i suoi “Giuseppi”.

Il ragazzo sembrava promettente e rappresentava l’aspetto rassicurante di un Movimento Cinque Stelle che aveva appena ottenuto un successo clamoroso nel 2018 e che aveva aperto le porte del Parlamento a tanti giovani, molti scappati di casa, altri scappati di casa e pure incompetenti. Di Maio, a parte gli scivoloni pregressi sui congiuntivi, era diverso. Diciamo pure che sembrava saperci fare e del resto aveva già sedotto Gianroberto Casaleggio e Grillo. Era quello che si dice il frontman, l’usignolo del Vesuvio, la speranza dell’Italia, data la sua giovane età.

Capo politico del Movimento, Vicepresidente del Consiglio, Ministro del Lavoro e pure dello Sviluppo Economico, concentrava in sé tante cariche come non si era visto dai tempi di Benito Mussolini. Chi lo conosce bene infatti sa che è di destra, come suo padre e tutta la famiglia, eppure si è ridotto a fare il “comunista” per cercare di salvarsi, ma il miracolo non gli è riuscito. Il primo passo falso lo ha compiuto circondandosi di tanti “famigli” che non erano consiglieri ma solo sconosciuti alla ricerca di un posto di lavoro, amici di scuola, quasi tutti napoletani o avellinesi. Di Maio, seguendo l’esempio di Trump, ha scelto il suo slogan: “Pomigliano D’Arco first”. Quell’errore però non avrebbe agito subito, ma solo dopo qualche anno. Diciamo che si è trattato di un “errore seminale”.

L’altro clamoroso “errore”, dal suo punto di vista naturalmente, è stato quello di portare uno sconosciuto professore universitario presentatogli da Alfonso Bonafede, Giuseppe Conte, a fare il presidente del Consiglio fantoccio e sappiamo tutti come è andata finire. Poi si è accorto che Salvini gli stava portando via voti e che aveva ribaltato addirittura le proporzioni elettorali: allora Di Maio ha cominciato a fare la guerra al leghista per riappropriarsi della leadership ma non è stato capace ed è caduto il governo.

Con il Conte 2 sono iniziati i guai di Di Maio che ha visto l’avvocato del popolo sfilargli gradualmente il controllo politico dei Cinque Stelle. Di Maio allora, si è ritirato su un Aventino che si chiama Farnesina e da lì ha gestito un ministero prestigioso che gli ha dato visibilità internazionale. Insomma tra Conte e Di Maio c’era un patto di non aggressione. Ma le vicende sono precipitate con la guerra tra Russia e Ucraina. Di Maio ha sempre avuto una sola bussola politica: preservare il suo posto ad ogni costo e la scelta più ovvia, diciamo pure razionale, pareva farsi un altro anno come capo delle Feluche e poi Dio avrebbe provveduto. Per fare questo però doveva contrastare un Conte sempre più aggressivo per far dimenticare agli elettori che era stato al governo con tutti e quindi doveva recuperare i valori originari del Movimento.

E questo ha portato l’ex premier allo scontro con Draghi per rifarsi una verginità. Di Maio, vista la mala parata, ha cercato di proteggersi il posto facendo una scissione suicida che doveva garantirgli appunto un altro anno di potere ma non aveva previsto la mossa di Draghi che ha gettato tutto alle ortiche pur avendo una comoda maggioranza per governare. Anzi, alla luce di poi, sembra quasi che sia stato un endorsement al centro – destra che gli aveva comunque dato la possibilità di rimanere.

Forse è stato il Colle a spingere il giovane Luigi alla mossa sbagliata della scissione per indebolire i Cinque Stelle? Non lo sapremo mai. Sta di fatto che da allora l’ex capo politico non ne ha imbroccata una. Prima ha fatto un movimento che non esiste e cioè Insieme per il futuro e poi ha fatto un accordo con lo scaltro Bruno Tabacci con Centro Civico e l’alleanza con il Pd.

Ma mentre Tabacci si sta involando verso l’ennesima vittoria per il povero Di Maio si ripalesa lo spettro delle bibite allo stadio San Paolo. Dunque usuale epifania archetipale dello scaltro vecchio che seduce e vasellina l’ingenuo giovine. Ultima beffa del destino cinico e baro: il killer elettorale napoletano di Di Maio è stato Sergio Costa, uno dei peggiori ministri dell’ambiente che proprio Di Maio volle a tutti i costi proprio come fece con Conte. Quando si dice la lungimiranza.

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