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Politica
Elezioni politiche 2018, è Berlusconi a tirare i fili. Anche per il post voto

A meno di tre mesi dalle elezioni politiche Silvio Berlusconi gongola per il trend favorevole dei sondaggi, con Forza Italia locomotiva di un centrodestra col vento in poppa, con il Pd sotto la linea del Piave del 25%, con “Liberi e Uguali” lontani dalle due cifre, con il M5S in testa ma in un campionato tutto suo, con l’astensionismo dominante. La prospettiva è quella di un voto inutile, senza una maggioranza di governo, con il Paese alla deriva. Siamo nel bivio: o i partiti escono dalle proprie misere baruffe riaffermando il proprio ruolo politico e istituzionale o l’Italia sarà presto terreno di conquista da parte dei cosiddetti poteri forti internazionali. Fra i capi-partito Silvio Berlusconi è l’unico che ha un doppio piano: uno contingente per le elezioni di marzo, un altro strategico per il post voto puntando alla terza Repubblica.

Dato pochi mesi fa morto politicamente, l’ex Cav è risorto ridando anima e corpo a una Forza Italia con un piede nella fossa e a rimettendo insieme i cocci di un centrodestra malandato e rissoso fino ad essere oggi nei sondaggi la coalizione davanti a tutti. Sornione, adesso il rais di Arcore osserva tutti dall’alto, con la bacchetta, bonariamente per battere il tempo come direttore d’orchestra o, in caso di bisogno, usandola sulle dita di chi sgarra le note, o a mo’ di freccia per infilzare i dissidenti. Oggi Berlusconi è nel … “ventre di vacca”, sulla sponda del fiume aspettando gli eventi e poi i resti dei nemici dopo le annunciate batoste elettorali. Da qui il suo apparente “distacco”, ben sapendo che le urne lavorano per lui e per i suoi progetti: se il centrodestra vince, è lui il boss di governo; se il centrodestra non raggiunge la maggioranza ma il Pd tiene pur con la coalizione out, eccolo pronto nel ruolo di gran burattinaio nell’inedito “governissimo” con Renzi; se non vince nessuno, lui appoggia pro tempore il Gentiloni-bis preparandosi meglio per le nuove elezioni in autunno, lanciando davvero – dopo aver cancellato tutto quel che c’è oggi compresa Forza Italia e addirittura proponendo la “fusione” con il PD renziano - il suo nuovo partito dei moderati. A quel punto, passando (a Renzi?) il testimone, il Cav può assurgere a “padre nobile”, mettendo il proprio nome su un nuovo capitolo della storia d’Italia.

Nella discesa in campo del 1994 Berlusconi uscì trionfatore dalle urne presentandosi come imprenditore fattosi da solo, puntando tutto sull’antipolitica/antipartitismo e sull’anticomunismo. Oggi la politica è solo gioco di potere; i partiti – liquidati oltre un quarto di secolo fa dall’ondata di Tangentopoli - sono ridotti a brandelli, strumenti elettorali e affaristici; il comunismo si consuma negli “Amarcord” delle ultime anime in pena prigioniere di una nostalgia. Domina il “trombonismo” del potere, manca una concezione della politica vissuta come servizio, con passione, competenza, sobrietà e coerenza: resta irrisolta la “questione morale”. E’ una politica con tanti “capi” ma priva di leader in grado di innovare il Paese su un progetto di coesione sociale, leader tali grazie a una riconosciuta autorità morale, di una capacità di costruire processi, affrontando con pazienza e con determinazione i percorsi più difficili. Serve il “per” e il “come” per fare non il “contro” per disfare. Come Craxi a suo tempo disse: “Alzi la mano chi vuole il comunismo in Italia?”, oggi si può riproporre la domanda: “Chi vuole davvero il grillismo?”.

La grande forza elettorale del M5S è un segnale del malcontento di chi si sente dimenticato, offeso, tradito da questo “sistema”, una richiesta di cambiamento con la ramazza in mano. Ma alla prova del budino (specie nel governo di Roma ecc.) il M5S ha già fallito e comunque in Italia e fuori sono davvero pochi quelli che ritengono possibile e auspicabile una “rivoluzione culturale” grillina che nessuno sa come può finire. A fare le vere rivoluzioni portatrici di progresso e non di sangue sono state le “forze tranquille”, un passo dopo l’altro con riforme che hanno migliorato la vita di interi popoli, non i predicatori dello “sfascio” del tanto peggio tanto meglio né quelli utopistici del “Sol dell’avvenire” che hanno prodotto dittature, miserie, lutti.

Non è un caso che, usciti dalla tragedia della dittatura fascista e della seconda Guerra mondiale, gli italiani rifiutarono di imboccare il tunnel della guerra civile fra “rossi” e “neri” scegliendo, compatibilmente alla divisione del mondo in due blocchi, la Democrazia Cristiana e la via politica dell’Occidente, bocciando il Pci. La DC nacque come partito dei cattolici, di mediazione tra una destra fascista e una sinistra dispotica, come forza costituzionale di equilibrio tra una concezione liberale e una concezione comunista che all’epoca ponevano in discussione anche un modello di stato. Quella DC non ha lasciato eredi, se non – forse – nei suoi aspetti della degenerazione politica. La storia non è ripetibile. Non è la nuova DC che manca. Serve quella forza riformatrice di stampo popolare e moderata che cambi volto e sostanza all’Italia, una forza che forse lo stesso Renzi aveva ed ha in mente mancando però della necessaria lucidità ideale e strategica, dello spessore culturale, della forza politica per passare dalle parole ai fatti. Così Berlusconi torna sulla scena senza l’elmetto e il grido di guerra del ’94 vestendo anzi i panni del moderato, del paziente tessitore, per una alleanza senza confini – oggi con Salvini, la Meloni e i cespugli vari in funzione del voto di marzo – domani andando oltre, fino al Pd renziano in nome di una governabilità basato su un programma e un progetto politico innovativi tutto da scrivere. Serve chiudere una fase storica riaprendone un’altra con la rinascita di partiti “veri” con al centro la partecipazione dei cittadini, con il senso del limite della politica e dei poteri, con l’idea delle istituzioni non proprietà di qualcuno ma come luoghi di partecipazione e strumenti democratici di mediazione dei conflitti, con quella cultura personalista sedimentata nei corpi intermedi e nella Costituzione. Berlusconi ha sempre inteso la politica come un pallottoliere facendo politica come fossero gli affari propri. Basta all’ex Cav il maquillage al viso per riproporsi come nuovo leader e statista di un progetto che cambi nel profondo la politica e l’intero Paese?

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