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Politica
Gas dall'Egitto, mal di pancia nel Pd. Regeni? La buccia di banana di Draghi
Enrico Letta e Mario Draghi 

Gas dall’Egitto, monta il fastidio in casa Pd: “Non si va in giro per il Mediterraneo con una tanica in mano”, “Più Regeni, meno Eni”, “Deve essere il Governo a dire all’Eni cosa fare e non viceversa”

Non bastava il silenzio di Mario Draghi sull’evocazione da parte di Joe Biden di un “genocidio” in Ucraina. Anche sull’accordo con l’Egitto per la fornitura di gas all’Italia, infatti, il Governo non ha proferito ancora parola. Fatta eccezione per un off pubblicato oggi sul Foglio dal quale quasi emerge un certo fastidio di Palazzo Chigi rispetto al rischio che una vicenda come quella Regeni venga piegata in chiave politica. “Qualcosa di insopportabile”, così la tacciano dall’esecutivo. Non solo, ma sostengono che accostare le due cose “è da gaglioffi”.

Apriti cielo. Nel corpaccione del Pd non l’hanno presa affatto bene. Già ieri il segretario dem Enrico Letta non aveva nascosto “i moltissimi dubbi” di fronte a un eventuale accordo di questo tipo. Ed Erasmo Palazzotto, che ha guidato la commissione parlamentare d’inchiesta sulla morte di Giulio Regeni, proprio in un’intervista ad Affari, aveva parlato chiaramente di “credibilità internazionale dell’Italia in gioco”.

Oggi è stato il deputato Pd Filippo Sensi a vergare un tweet dal contenuto inequivocabile: "Leggo una stizzita (e assai sbagliata) risposta da fonti anonime di governo su Il Foglio a proposito della (anch’essa assai sbagliata) operazione energetica con l’Egitto di Al Sisi - scrive Sensi -. Meno iattanza, meno fastidio. Piuttosto tre parole semplici: non si fa".

Sensi non ci gira intorno, insomma. Ma non è il solo a pensarla così. Un certo mal di pancia nel partito sta emergendo in queste ore, a maggior ragione dopo quanto scritto dal quotidiano  diretto da Claudio Cerasa. Tra i dem a Palazzo, tanto per cominciare, c’è chi sul filo dell’ironia commenta la terminologia usata dall’esecutivo: “Gaglioffo è un termine che credo non si usi più dal 1800”. Ma al di là del lessico, è la sostanza quella che brucia di più e che un parlamentare del Partito democratico, dietro garanzia di anonimato, sintetizza con uno slogan: “Più Regeni e meno Eni”.

“Non si va in giro per il Mediterraneo con una tanica in mano”, dicono ad Affaritaliani.it. Per poi argomentare: “Noi stiamo facendo un salto quantico, stiamo lavorando per sostituire, nell’approvvigionamento del gas, l’Africa alla Russia. Un fatto di questa portata si compone di due elementi. Il primo è la contingenza e il secondo è la strategia, perché qui non si tratta di cambiare il supermercato dove andare a fare la spesa”.
Morale della favola? “Il fatto di voler rendere l’Africa l’interlocutore primario e quasi esclusivo del proprio approvvigionamento inevitabilmente deve discendere da una serie di valutazioni di carattere politico”.

Insomma, se per il Governo sarebbe insopportabile strumentalizzare il caso Regeni, dal Pd rispondono invece che “è il primato della politica che va ristabilito” e che quindi prima di assumere delle decisioni, vale per l’Egitto ma anche per la Nigeria o per il Congo, "bisogna valutare tutte le conseguenze e implicazioni. Serve consapevolezza”. Perché, rincarano, “la politica ha le sue regole e se al Governo non le vogliono vedere poi queste si impongono, come insegna il caso Regeni. Noi ci stiamo addentrando su un terreno molto complesso. Tutti questi aspetti – avvertono - non possono essere ridotti al rango del ‘lasciateci lavorare’. Non funziona così. Anzi, è proprio perché noi vogliamo lavorare con voi se vi stiamo dicendo che ci sono implicazione di natura più intrecciata e più complessa da considerare”.

L’appoggio a Draghi rimane fuori discussione in casa dem, come hanno ribadito tutti al nostro giornale. Non senza aggiungere però: “Ma noi siamo il Pd e quando c’è qualcosa che non va lo diciamo”. Come nel caso del gas d’Egitto? “La vicenda Regeni è la classica buccia di banana. Si è ritenuto che, siccome c’è un accordo commerciale tra l’Eni la sua omologa egiziana, questo non implicasse ripercussioni. Una foglia di fico che non regge. Non dimentichiamo che le società di erogazione di energia di quei Paesi sono di diretta emanazione dello Stato. Ma soprattutto che Eni è a golden share del Governo”. In sintesi: “Deve essere il Governo a dire all’Eni cosa fare e non viceversa”.

Tirando le somme, il cahier de doléances è corposo. In attesa che magari l’esecutivo dica qualcosa al riguardo, comunque, la linea è aspettare anche il Copasir. Dopo il Rapporto sull’energia di gennaio scorso, infatti, è atteso un aggiornamento da parte del Comitato parlamentare per la sicurezza. Non prima di una serie di riunioni interne che si svolgeranno la prossima settimana. Ma di sicuro il tema delle relazioni economiche e dei relativi effetti politici, culturali, militari e d’intelligence sarà centrale. Insieme a quello di una definizione degli assetti esteri del sistema di partecipate italiane.

 

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