Guerra commerciale, ecco perchè i dazi al 15% danneggiano per primi gli Usa. E Trump tornerà sui suoi passi - Affaritaliani.it

Politica

Ultimo aggiornamento: 14:04

Guerra commerciale, ecco perchè i dazi al 15% danneggiano per primi gli Usa. E Trump tornerà sui suoi passi

Ma siamo davvero sicuri che l’accordo raggiunto in Scozia, sia una vittoria schiacciante per gli Stati Uniti del presidente americano Donald Trump? Il commento

di Vincenzo Caccioppoli

Dazi al 15%, sventata la guerra commerciale Usa-Ue. Meloni punta sull'indebolimento dell'asse franco-tedesco per trovare un nuovo equilibrio internazionale 

Ma siamo davvero sicuri che l’accordo raggiunto in Scozia, sia una vittoria schiacciante per gli Stati Uniti del presidente americano Donald Trump? La risposta, sembrerebbe scontata. Se, infatti, ci si ferma solo alle nude cifre, che farebbero parte dell'accordo (dazi del 15% da parte degli Usa senza nessuna contropartita) l ‘Unione Europea sembrerebbe uscirne con le ossa rotte.

Mentre invece Trump sarebbe l'unico indiscusso vincitore. Ma se invece si entra un po’ più nel merito delle cose, allora, il trionfalismo americano potrebbe alla fine risultare in buona parte ingiustificato. Molti economisti avrebbero ampiamente dimostrato, infatti, come questa politica dei dazi alla lunga smorzerebbe, e non di poco, anche la crescita degli Stati Uniti, oltre quella di uno dei suoi principali partner commerciali. Un recente report sul tema dell'autorevole think tank tedesco, Kiel Institute, afferma come l’aliquota tariffaria stabilita, sarebbe abbastanza alta da aumentare il costo delle merci europee negli Stati Uniti, ma probabilmente non abbastanza alta da rendere tali merci non competitive.

Secondo il report, infatti, con i dazi al 15% il calo per i principali paesi Ue sarebbe nell'ordine dello 0,2- 0,3%, a seconda dei paesi europei considerati (per il nostro paese si parla dello 0,19% per la Germania dello 0,27%), mentre per gli Usa il calo del Pil, potrebbe addirittura arrivare fino al 1,2%. Un calo che però, come sostiene anche l'amministrazione americana, sarebbe ampiamente compensato dall'aumento delle entrate fiscali sulle importazioni, che passerebbero da 7 a 91 miliardi di dollari (anche se in realtà considerando un calo del 20% delle esportazioni dall'Ue, il totale sarebbe di 66 miliardi di dollari circa).

Anche se secondo l’istituto di ricerca americano, specializzato in tematiche legate al fisco e alle tariffe commerciali, Tax foundation, i dazi sarebbero comunque negativi per il mercato americano, soprattutto in determinati settori. E anche considerando l'aumento delle entrate fiscali sulle importazioni, il calo del Pil americano potrebbe arrivare comunque fino allo 0,5 %. Difficile pensare che un businessman come Trump, possa reggere a simili numeri e non decida in seguito di invertire la rotta, nel caso si rendesse conto che gli svantaggi dei dazi risultano alla fine maggiori, rispetto ai vantaggi per l’economia a stelle e strisce.

Ecco allora che si rafforza il ragionamento di chi, come Giorgia Meloni e il cancelliere tedesco Friedrich Merz, considera questo accordo come il male minore. Perché come analizzando le cifre più nel dettaglio, in settori chiave, come l’automotive, dove le tariffe di Trump su Canada e Messico hanno aumentato drasticamente i costi per i produttori statunitensi, la tariffa del 15 per cento sulle importazioni europee, potrebbe controintuitivamente offrire loro un vantaggio competitivo. Così come per quanto riguarda la Cina, che non a caso appare preoccupata come e più della stessa Europa per questa politica commerciale aggressiva inaugurata dal Trump.

Sempre secondo gli esperti dell'istituto di ricerca tedesco, il risultato che se ne deriva sarebbe quello che i dazi provocheranno un calo dei consumi e un conseguente calo del Pil americano, in maniera anche superiore a quello che potrebbe accadere nel vecchio continente. E questo si evidenzia soprattutto in determinati settori merceologici, come per esempio quello alimentare, che interessa molto da vicino proprio il nostro paese.

I dazi sul settore alimentare avranno, infatti, secondo gli esperti del Kiel Institute, un impatto diverso sull'economia statunitense rispetto ai dazi sui fattori di produzione e sui beni di consumo. Si consideri, ad esempio, come un produttore nazionale di bibite gassate potrebbe reagire a un dazio sull'alluminio. “L'azienda potrebbe continuare ad approvvigionarsi di alluminio per le sue lattine dall'estero, pagando il prezzo di importazione più elevato dovuto al dazio. Oppure potrebbe rivolgersi al fornitore nazionale di alluminio, ora relativamente più economico", si legge nel report.

Nel 2024, gli Stati Uniti hanno importato circa 221 miliardi di dollari in prodotti alimentari, il 74% dei quali (163 miliardi di dollari) già sottoposti a dazi americani. I cinque principali esportatori di prodotti alimentari verso gli Stati Uniti, in ordine, sono Canada, Messico, UE ( con il nostro paese a guidare la testa nella classifica dell’export), Brasile e Cina, che rappresentano il 62% delle importazioni alimentari totali degli Stati Uniti. Il presidente Trump ha spesso difeso i dazi sostenendo che stimolerebbero la produzione interna e creerebbero posti di lavoro.

Tuttavia, nel caso delle importazioni alimentari, è spesso difficile o impossibile delocalizzare la produzione a causa della scarsità di terreni e della mancanza di climi adatti a determinati prodotti. I consumatori spesso preferiscono anche l'alternativa straniera ai prodotti coltivati in America. Ciò significa che i dazi sulle importazioni alimentari porteranno probabilmente a prezzi alimentari più elevati, peggiorando la situazione dei consumatori.

E questo è un aspetto su cui certamente il nostro paese può e deve lavorare per cercare di arrivare a quelle esenzioni, che convengono anche agli Stati Uniti, di cui parla la premier Giorgia Meloni. Bruegel, il think tank europeo specializzato in economia, ha stimato, due giorni fa, che con le tariffe al 15% il Pil degli Stati Uniti potrebbe scendere fino allo 0,7% contro uno 0,3% di quello della Ue. Mentre il canale televisivo finanziario, CNBC, ha riportato i dati del simulatore tariffario della piattaforma online di visualizzazione e distribuzione dati The Observatory of Economic Complexity (OEC), in cui si prevede che, con i dazi imposti da Trump, le esportazioni globali verso gli Stati Uniti nel 2027 diminuiranno di oltre il 46% rispetto alla media degli ultimi tre anni, ovvero 2,68 trilioni di dollari. Si prevede inoltre che le esportazioni statunitensi verso il resto del mondo nel 2027 aumenteranno del 12% rispetto alla media degli ultimi tre anni, ovvero 1,59 trilioni di dollari. Ecco allora che la partita dei dazi alla luce di ciò appare molto meno trionfale per l’esuberante Trump e il suo MAGA. E questo è anche uno dei motivi, per cui Giorgia Meloni, voleva evitare a tutti i costi l'apertura di una guerra commerciale con gli USA, come invece suggeriva il francese Emmanuel Macron.

La riflessione che fa palazzo Chigi invece è quella di voler perseguire l'approccio wait and see, che col personaggio Trump appare la soluzione più percorribile, considerando la volubilità del personaggio. In questa fase allora era intanto doveroso, come stabilito dai trattati, che a dialogare con gli Usa fosse direttamente la commissione europea. Ma ora che la presidente Von der Leyen ha svolto il suo compito e torna a casa certamente indebolita e screditata (a dimostrazione di ciò bastava leggersi i durissimi commenti sull’accordo di Macron e dello stesso Merz), arriva il momento della discesa in campo dei singoli Stati europei.

Ed è qui che Giorgia Meloni, magari facendo fronte comune proprio con il cancelliere Merz, potrebbe tornare a giocare un ruolo da protagonista. Palazzo Chigi, da settimane, sta lavorando, sotto traccia, proprio al rafforzamento dell’asse con la Germania, anche e soprattutto, in vista della trattativa sui dazi ( cosa di cui i due premier hanno parlato a lungo nei loro ultimi incontri, a Maggio e al G7 in Canada).

L'intento sarebbe quello di fare leva sull’ evidente attuale indebolimento dell’asse franco- tedesco, per creare un nuovo equilibrio europeo, che rafforzi la coesione e la compattezza della Unione Europea. I dazi allora in questa chiave, possono essere l’ennesima occasione (forse l’ultima?) per l’Europa, di scrollarsi di dosso quella sorta di apatia che sembra averla pervasa da almeno un decennio e che l’ha portata ad una sostanziale irrilevanza sulla scena internazionale. 

LEGGI LE NOTIZIE DI POLITICA