Italicum, ecco che cosa succede davvero se si cambia - Affaritaliani.it

Politica

Italicum, ecco che cosa succede davvero se si cambia

L’Italicum che ha sostituito il Porcellum di calderoliana memoria (ma solo alla Camera e non al Senato) è rimesso in discussione dai risultati delle elezioni

 

L’Italicum che ha sostituito il Porcellum di calderoliana memoria (ma solo alla Camera e non al Senato) viene rimesso in discussione dai risultati delle recenti amministrative perse dal Pd e vinte dal M5S. Infatti, questo sistema elettorale era il frutto conseguente della vocazione maggioritaria del Pd stesso dopo la clamorosa vittoria alle europee che lo vide vittorioso con il 40% dei voti. 

A quel punto, e giustamente dal suo punto di vista, Renzi pensò che ormai poteva fare a meno degli alleati e dare il premio di maggioranza ad un partito unico: il suo. Tuttavia egli non aveva fatto i conti con l’ oste e cioè lo scorbutico Grillo che nel frattempo ha continuato ad aumentare progressivamente ma inesorabilmente i suoi successi elettorali fino a superare lo stesso Pd (nei sondaggi a livello nazionale); a questo punto i vantaggi dell’Italicum sono un piatto servito su un vassoio d’argento ai Cinque Stelle; a tutto questo si aggiunga che la minoranza Pd è da sempre ostile (per motivazioni di opportunità politica e non certo di merito) a questo sistema elettorale e quindi cambiarlo, per Renzi, vuol dire prendere due piccioni con una sola fava.

L’ironia del destino (o il voltagabbanismo italico) vede i Cinque Stelle ora strenui difensori dell’Italicum dopo averlo avversato fino a prima delle amministrative Inoltre occorre considerare che la modifica dell’Italicum è “offerta” da Renzi (anche se ora conviene pur ea lui dato il pericolo del M5S) alla minoranza Dem in cambio dell’appoggio al referendum sulle riforme istituzionali; in tutto questo è evidente che il premier perde potere contrattuale al suo interno rispetto alla situazione prima del voto amministrativo.

Dunque se Renzi vuole avere qualche possibilità di vittoria al voto politico previsto per il 2018 deve modificare l’Italicum in modo che non premi i Cinque Stelle e questo lo può fare solamente abolendo il premio di maggioranza (del 54%, pari a 340 seggi su 630 di cui 18 da eleggere all’estero) per il partito per darlo all’intera coalizione; a questo punto per vincere il Pd ha bisogno di una coalizione con altre forze politiche e deve rinunciare alla sua vocazione maggioritaria per altro auspicata da i tempi di Walter Veltroni.

Chiaramente lo sbarramento al 3% è una tagliola per i piccoli partiti che potrebbero portare solo acqua elettorale alla coalizione senza eleggere deputati ma accontentandosi di accordi extra – istituzionali su cariche e prebende; tuttavia la presenza dei piccoli partiti è fondamentale per vincere al primo turno con almeno il 40% perché al secondo (vedi Roma e Torino) il Pd rischierebbe moltissimo contro i Cinque Stelle appoggiati dai voti del centro – destra.

Del resto anche con l’ Italicum l’ accordo tra i piccoli e il Pd sarebbe stato extra istituzionale e cioè una quota di capi – lista sui cento bloccati dal Pd, ma i primi almeno non avrebbero dovuto raggiungere il 3% con una implacabile certificazione dei voti ottenuti; dunque il cambio dell’Italicum non favorisce i piccoli partiti (che ora per avere qualche Deputato devono competere veramente e raggiungere il 3%) e sfavorisce anche il Pd perché non è più indipendente ma deve comunque fare i conti con gli altri con il “rischio”, inoltre, che qualcuno degli alleati superi pure il 3% (che dal punto di vista del Pd sarebbe un “problema”) e che quindi elegga Deputati con cui poi fare i conti in Parlamento, un po’ come avvenuto durante la XVI legislatura con i Radicali (l’accordo con l’ Italia dei Valori di Di Pietro era uguale ma poi l’ex – magistrato forzò la mano costituendo gruppi parlamentari autonomi dal Pd; una furbata non strategica che cominciò a logorare i rapporti tra le due forze politiche).

Comunque con il M5S in forte crescita Renzi non pare avere molte alternative anche se, ufficialmente, continua a difendere l’Italicum. Per quanto poi riguarda il futuro politico di Renzi esso si gioca, come da lui stesso ammesso, sull’esito del referendum. Se lo vince il governo va avanti fino alla data naturale delle politiche previste per il 2018 e termina la legislatura mentre se lo perde il Presidente Mattarella sarà costretto ad un (abbastanza formale) Renzi – bis e poi ad un governo tecnico con probabilmente il presidente del Senato Grasso (figura comunque figura che è percepita dall’opinione pubblica come non politica) a guidarlo sempre fino al 2018.

Dunque, in ogni caso, sia che Renzi vinca o perda il referendum di ottobre (a meno che non sia spostato a dicembre) la data del voto pare restare al 2018 con un sospiro di sollievo dei Deputati che vedranno scattare il mitico vitalizio.