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Politica
La Via della Seta in un vicolo cieco. Pure il Pd molla il M5s cinese

Luigi Di Maio  Giuseppe Conte
Lapresse

Dopo i cambi sulle nomine, i nuovi assetti della campagna vaccinale e la riorganizzazione del comparto dei Servizi, Mario Draghi comincia a contestare anche l’impostazione geopolitica del governo Conte, in particolare, i rapporti col Dragone. Ebbene sì, l’accordo tanto osannato dal M5s - correva l’anno 2019 - sulla Via della Seta, firmato da Luigi Di Maio, se non è ancora messo in discussione poco ci manca. Galeotte le parole in riferimento al Memorandum pronunciate dal presidente del Consiglio a G7 appena finito. Quel “non è stato menzionato da nessuno, ma lo valuteremo con attenzione”. Segno che l’ex presidente della Bce non ne è convinto fino in fondo? E’ ancora presto per comprenderlo.

Intanto, mentre il summit dei sette grandi della Terra metteva sul banco degli imputati la Cina, in Italia impazzava la polemica sulla visita di Beppe Grillo all’ambasciatore di Pechino a Roma, con Giuseppe Conte sfilatosi all’ultimo momento “per motivi e impegni personali”. Una spiegazione ribadita anche ieri dall’avvocato del popolo nello studio di “Mezz’ora in più”.

Un attimo prima che Draghi lanciasse una mezza ‘fatwa’ sulla Belt and Road Iniziative, Conte sottolineava naturalmente che l'alleanza atlantica costituisce un “pilastro”, ma insisteva pure sull’utilità di “poter dialogare anche con asiatici importanti come la Cina”. Dai cambiamenti climatici agli interessi commerciali, insomma, non si possono tenere fuori interi continenti, è stato il ragionamento che ha fatto l’ex presidente del Consiglio: “Germania e Cina hanno un interscambio commerciale di 200 miliardi. Italia e Cina, parlo del 2018, 44 miliardi. Possiamo lavorare per avvantaggiarci economicamente nel rispetto dei nostri alleati e delle nostre alleanze - ha concluso - perché comunque dobbiamo coltivare un dialogo anche nell'interesse nazionale".

Le parole di Draghi comunque sono risuonate in modo forte nel Movimento. Tant’è che il ministro degli Esteri Luigi Di Maio, tra i principali promotori del Memorandum, ha messo subito le mani avanti: “I dati dell’export verso quella parte del mondo sono in crescita spaventosa”, ha detto intervistato da La Stampa, invitando inoltre a chiedere alle imprese italiane “cosa ne pensano”.


Insomma, una sorta di alt preventivo a qualsiasi ipotesi di smantellamento degli accordi del 2019? Una fonte di governo M5s si limita a osservare: “Di Maio dice la cosa più ovvia e corretta, i dati parlano chiaro”. Detto ciò, taglia corto parlando con Affaritaliani.it, “l’accordo non è un accordo commerciale (materia Ue) ma promozionale, quindi non vedo il senso persino di parlarne”.  Ma anche tra i parlamentari del Movimento, soprattutto tra quelli più vicini al dossier, il sentimento che prevale è “difensivo”. I pentastellati, in sintesi, rivendicano quanto fatto fino a ora.  Anzi, nel corpaccione dei deputati c’è chi si aspetta che “il tema possa essere affrontato a dovere. Non appena ci sarà la nuova Carta dei valori e Conte sarà ufficialmente il capo politico del M5s - dice al nostro giornale un eletto alla Camera dietro garanzia di anonimato - affronteremo pure tale questione”. Una cosa, però, “deve essere chiara. Va bene il cappello internazionale, ma poi la linea va necessariamente tradotta nella politica estera di ogni singolo Paese. E’ vero - continua - che gli scenari evolvono e le politiche si aggiustano. Attenzione, però: questo non significa fare passi indietro”. Insomma, su questo terrete il punto? “Si può continuare a portare avanti gli accordi fatti, senza trascurare la questione dei diritti umani. Ma comunque se ne discuterà sia a livello di governo, e quindi con il ministro degli Esteri, e sia a livello parlamentare”.


Fuori dal Movimento, invece, il sentiment è diverso. “Ma quale strategia M5s con la Cina – dice al nostro giornale una fonte qualificata di Italia viva -. Non c’era nessuna strategia. Ora la farà Draghi: rivedrà il rapporto con Pechino in modo sinergico con Biden, che non vuol dire rinunciare agli affari, ma farli con la schiena dritta”. Tuttavia, Il Movimento non troverebbe sponde a difesa del Memorandum neppure in casa Pd. Un autorevole parlamentare dem, infatti, dice subito al nostro giornale: “Noi non abbiamo mai apprezzato la linea arrendevole di Conte nei confronti della Cina. La vaga incertezza nelle parole di Draghi corrisponde a un accordo internazionale che c’è stato al G7. Come ha detto lo stesso presidente del Consiglio e come ha detto Biden, infatti, non è possibile considerare il colosso asiatico, sotto alcuni profili, alla stregua degli altri Paesi”. Tant'è che alla domanda sulla possibilità di rivedere le intese del 2019, l’esponente democratico risponde con un interrogativo eloquente: “E’ pensabile che un Paese come il nostro, che è quello che meglio rappresenta la linea europeista e atlantista espressa in Cornovaglia, possa mettere sullo stesso piano il proprio impegno atlantista, appunto, e filo-Biden e i rapporti con la Cina?”.

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