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Merz, Starmer e Macron: la politica estera non si fa con i selfie

Meloni, negli ultimi tempi, tende a evitare riunioni e missioni che sono utili solo per video e photo opportunity buoni per la stampa, ma meno utili in chiave diplomatica

di Vincenzo Caccioppoli

La politica estera non si fa con i selfie

Si sta creando un polverone mediatico sul mancato viaggio di Giorgia Meloni a Kiev insieme al cosiddetto gruppo dei volenterosi, formato dal nuovo cancelliere Friedrich Merz, il britannico Keir Starmer e l'immancabile Emmanuel Macron.

A parte la scelta del nome, che francamente forse stride un po' con una certa svogliatezza da parte dell’Europa verso gli sforzi diplomatici messi fino ad ora in campo per cercare di arrivare, presto, ad una soluzione del conflitto, il fatto che si crei tanto clamore mediatico su simili viaggi della “speranza”, resta uno dei tanti misteri della politica estera europea, ammesso che ne esista una.

Perché che l’Europa da tempo non mostri proprio una grande volontà nel dispiegare la diplomazia per abbassare i toni tra i due contendenti, appare sempre più palese. Basti pensare alle affermazioni di ieri proprio del presidente Macron sulla possibilità di dispiegare il nucleare in Polonia, al confine con la Russia. Insomma, tutta questa volontà di pacificazione non è che si scorga tanto, se non le parole e nelle photo opportunity.

Il viaggio in Ucraina dei tre leader ha ricordato a molti la missione a Kiev nel giugno del 2022 con Mario Draghi presidente del consiglio italiano, Macron e Olaf Scholz. Giorgia Meloni ha preferito non andare non tanto o, meglio, non solo, perché da tempo reagisce con un certo fastidio all’eccessiva sovraesposizione di Macron in politica estera, che è utilizzata in modo strumentale per uscire da una crisi di consenso interno, senza precedenti (il suo gradimento in patria è appena al 26%).

La scelta di Meloni si spiega anche con il fatto che da tempo lei sembra non credere più in queste operazione più di immagine che di vera sostanza. Non solo perché da tempo lei sostiene, a ragione, che senza gli Usa, non è possibile fare accordi di pace. Ma anche perché senza azioni concrete da parte dell’Europa si rischia l’isolamento e l’irrilevanza a livello geopolitico.

L’Europa, si sa, purtroppo può fare poco, malgrado l'inutile iperattivismo di Macron (che non a caso è stato gentilmente pregato da Donald Trump di togliersi dai piedi, prima del suo incontro in Vaticano con Zelensky) da sola, ma se si unisce allo storico alleato può giocare invece un suo qualche ruolo. Il grande Henry Kissinger amava ripetere una frase diventata poi celebre “La debolezza ha sempre rappresentato una tentazione ad usare la forza”.

L’Europa di questi mesi sembra stia avvalorando questa tesi del grande vecchio della politica americana, scomparso a cento anni, poco più di un anno fa. La premier italiana da tempo sta domandosi quanta reale volontà ci sia da parte delle cancellerie europee a fare di tutto perché si arrivi ad una pace giusta. Ed è per questo che tende sempre più ad evitare riunioni e missioni che sono utili solo per video e photo opportunity buoni per la stampa, ma meno utili in chiave diplomatica.

A queste iniziative che considera estemporanee, preferisce agire sottotraccia, con tutte le armi diplomatiche a disposizione, per agevolare gli sforzi che stanno facendo altri per arrivare ad una soluzione pacifica del terribile conflitto. La politica estera non si fa con i selfie, è il ragionamento che si fa a Palazzo Chigi, che sta ancora alacremente lavorando non solo al vertice tra Usa ed Europa (probabilmente a luglio) ma anche a quello tra il vicepresidente J.D. Vance e Ursula Von der Leyen domenica a Roma, a margine della messa di insediamento del nuovo papa.

D’altra parte, l’appoggio incondizionato del governo italiano a Kiev è sempre stata fuori discussione (mentre i cinque stelle e parte del Pd non sempre appare certo così granitico nel sostegno al popolo ucraino) e creare una polemica per la sua assenza in presenza (ha partecipato con un videocollegamento), si ragiona a Palazzo Chigi è strumentale ed inutile, e vuole nascondere le profonde divisioni che ci sono all’interno delle opposizioni in tema di politica estera.

D’altra parte una fonte interna di Fdi, sottolineava come la politica estera sembra essere  utilizzata dai leader europei che sono in estrema difficoltà in patria, perché oltre a Macron anche Starmer ha i suoi problemi con la destra di Farage che lo incalza e che lo costringe a rincorrerlo  sulla politica migratoria con misure assai stringenti e Merz dopo aver sfiorato una clamorosa bocciatura in parlamento ( è stato eletto solo al secondo scrutinio) deve guardarsi dall'Adf che nei sondaggi è ormai vicino al 25% dei consensi.

Il risultato è che in realtà queste operazioni hanno forse un qualche valore mediatico per i protagonisti, ma di risultati concreti non se ne vedono da parte di un Europa, che appare sempre più ai margini dei colloqui di pace. Meloni invece che non ha problemi di questo tipo, sembra voler preferire alla forma, la sostanza per cercare di ritagliarsi quel ruolo da ponte tra Usa ed Europa, che le riconosceva anche la Bild qualche settimana fa in un lungo articolo che la definiva come il leader segreto del vecchio continente, ma senza dimenticare chi ha un forte ruolo diplomatico in Medio Oriente, come la Turchia.

Ed è in quest’ottica che va spiegata la telefonata che ieri la premier ha avuto con il premier turco Recep Tayyip Erdoğan, incontrato due settimane fa in un bilaterale a Roma, in vista dell’importante vertice di domani ad Ankara tra Russia ed Ucraina. Il viaggio in Ucraina a fianco dei volenterosi, paradossalmente, avrebbe svilito questo ruolo, appiattendo la Meloni dietro ad una iniziativa non sua e non del tutto condivisa.

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