Politica
Migranti, la mossa dei giudici Ue scatena la corsa alla riforma europea
La nuova riforma potrebbe finalmente depotenziare il potere della magistratura, lasciando maggiore libertà ai governi

La sentenza della Corte di giustizia Ue spinge l'Europa verso l'accelerazione della riforma sui migranti
La "sorprendente" (così è stata definita da Palazzo Chigi) decisione della corte di giustizia europea (Cgue) sui paesi sicuri di venerdì scorso, ha avuto come primo effetto, quello di spingere non solo il governo italiano, ma anche commissione europea e cancellerie europee, verso un’accelerazione della entrata in vigore della riforma europea sulle politiche di asilo, prevista per giugno 2026.
A poche ore dalla sentenza, che ha decretato il fatto che uno stato sovrano può designare Paesi d'origine sicuri mediante atto legislativo, a patto che tale designazione possa essere oggetto di un controllo giurisdizionale effettivo, si sono subito mosse le diplomazie, non solo del nostro paese, ma anche quelle della commissione europea, di Francia e Germania.
La sentenza è apparsa un po' a tutti una chiara limitazione al potere esecutivo, oltre tutto in una materia così delicata come quella della gestione di migranti. La Commissione Ue, tramite un suo portavoce, ha fatto sapere sabato che «incoraggia Parlamento e Consiglio a procedere il più rapidamente possibile» per anticipare le norme del patto europeo su immigrazione e asilo, che permetterebbero di superare i rilievi sollevati venerdì dalla Corte di giustizia di Lussemburgo sui «paesi di origine sicuri».
Una dichiarazione che dimostra chiaramente come ormai la linea della presidente Ursula Von der Leyen, sia quella di un sostanziale allineamento alla politica, che si basa sugli accordi con paesi terzi per limitare i flussi dei migranti, inaugurata proprio dal governo Meloni. Ad aprile, nella lista proposta sui paesi sicuri, Palazzo Berlaymont, sede della commissione europea, aveva fatto inserire anche Bangladesh ed Egitto, i paesi oggetto del contendere in più occasioni nelle diatribe tra giudici e governo italiano.
Ma come detto, da quello che si apprende da fonti diplomatiche, anche Francia e Germania non hanno accolto bene questa nuova “ingerenza” dei giudici sulla politica migratoria di uno stato sovrano. Il quotidiano Il Foglio ha visionato e reso note le memorie presentate da Parigi, Berlino e Bruxelles in difesa del principio cassato dalle toghe europee.
Parigi ha posto l’accento sulla possibilità di designare un Paese come sicuro “con l’eccezione di talune categorie di persone chiaramente definite”, flessibilità negata dai giudici europei. Ancora più tranchant Berlino: “Un legislatore nazionale può designare direttamente, con un atto legislativo primario, un paese terzo come paese di origine sicuro” è quanto affermato nella memoria. Ma proprio la Germania di Friedrich Merz appare quella più motivata, anche per chiare ragioni di politica interna, con l’estrema destra di Afd che soffia proprio sul tema della migrazione fuori controllo in patria, per aumentare i consensi, ad accelerare su una riforma più stringente di quella attuale sulla gestione dei flussi migratori.
E la sponda naturale per fare ciò l’avrebbe trovata proprio in Giorgia Meloni, con la quale sembra aver trovato una piena condivisione non solo sul tema migranti. Sulla base di queste considerazioni, Palazzo Chigi, si sarebbe allora mosso subito per fare pressioni Europa e singoli stati per arrivare ad una decisa accelerazione sull’entrata in vigore di una riforma che sembra andare nella direzione auspicata dal governo italiano.
La nuova riforma potrebbe finalmente avere l’effetto di depotenziare il potere della magistratura in questo delicato tema, e lasciare maggiore libertà ai governi nella gestione e nel contenimento della migrazione dai paesi extraeuropei. Il nuovo patto europeo, mira a creare procedure uniformi ed efficienti per la registrazione e la gestione delle domande di asilo, riducendo i movimenti secondari (cioè, i trasferimenti di richiedenti asilo tra paesi UE).
Si introduce un meccanismo di solidarietà flessibile, che permette agli Stati membri di contribuire alla gestione dei flussi migratori attraverso ricollocazioni, sostegno finanziario o altre misure di solidarietà. E soprattutto si prevedono procedure accelerate di asilo, ed ovviamente si promuovono anche patti di cooperazione con paesi terzi (sul modello Albania e Tunisia siglati dal governo italiano).
La stessa Corte europea, forse in maniera un po’ pilatesca ha precisato poi che questa sentenza è valida proprio fino all'entrata in vigore del nuovo regolamento Ue, "che consente di effettuare designazioni con eccezioni per alcune categorie chiaramente identificabili di persone", che era atteso appunto per il 12 giugno 2026.
Tuttavia, si legge nella sentenza della Cgue "il legislatore Ue può anticipare la data”. È chiaro che con questi chiari di luna per il governo italiano, ma anche per quello tedesco o francese, governare il fenomeno migratorio, con questa incertezza legislativa per ancora quasi un anno, appare cosa improponibile. Ed è proprio su questo punto che Giorgia Meloni, secondo quanto filtra da fonti di Palazzo Chigi, sta alacremente lavorando sia sulle cancellerie che sulla commissione, per stringere i tempi ed arrivare in pochi mesi all’approvazione del nuovo regolamento.