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Palazzi & potere
CSM e relazioni pericolose tra politica e magistratura

Fa rumore, in questi giorni, l’inchiesta dei magistrati di Perugia sul procuratore aggiunto di Roma, Palamara, e sulle presunte interferenze politiche nelle nomine da parte del Consiglio superiore della magistratura. In buona parte, i commenti riferiscono di rapporti “impuri“ tra magistratura e politica. Sono all’esame del Parlamento anche proposte di modifica, non solo dell’attività della magistratura  - con la sacrosanta separazione delle carriere — ma anche con la modifica della legge che disciplina l’elezione dei magistrati  componenti del CSM.

In buona parte di tali commenti si scorge una notevole dose di ipocrisia e la gattopardesca intenzione di lasciare tutto com’è.

La stessa presenza di un CSM nel quale siedono esponenti politici eletti dal Parlamento e magistrati eletti dalla potente corporazione della magistratura, organizzata in correnti, rendono – purtroppo - fisiologica la commistione tra politica e magistratura.

L’uso di ricatti e appoggi politici per assecondare l’arrivismo di alcuni magistrati.

Ciò che sorprende è, piuttosto, l’uso di spregiudicato di denunce e veleni tra magistrati, proprio di coloro che dovrebbero assicurare  l’amministrazione oggettiva e disinteressata della giustizia. Lo sdegno della collettività per tale stato di cose e il crollo della fiducia in chi amministra la giustizia rendono la presente crisi particolarmente grave. La situazione richiederebbe un pronto intervento del legislatore. Vero è, infatti, che l’articolo 105 della Costituzione stabilisce: “Spettano al Consiglio superiore della magistratura ……  le assunzioni, le assegnazioni ed i trasferimenti, le promozioni e i provvedimenti disciplinari nei riguardi dei magistrati“, ma aggiunge “secondo le norme dell'ordinamento giudiziario” Che è una legge approvata dal Parlamento. Dunque non compete alla piena discrezionalità del CSM stabilire I criteri di promozioni dei magistrati ma alla legge. Al CSM spetta un ruolo di garanzia nell’applicazione della legge.

Le proposte di riforma: improvvisazione e intento gattopardesco di lasciare le cose come stanno. Coinvolgere nelle proposte di riforma la maggioranza dei magistrati che è sana e vittima di questa situazione.

Il fatto è che le idee su come riformare il CSM non appaiono chiare. Non a caso non si parla affatto di intervenire in profondità sui meccanismi che generano le interferenze tra politica e magistratura e la stessa pratica di denunce incrociate per prevalere nella corsa alle cariche più prestigiose della magistratura stessa. Così, si parla di introdurre il sistema, assolutamente deresponsabilizzante perché del tutto casuale, del sorteggio, tra I magistrati che devono accedere al CSM.

Ci si deve chiedere, invece,  se non sia proprio insito nel modello un  sistema che tende a facilitare proprio la ricerca di appoggi politici nella corsa alle supreme cariche della magistratura. Per prevalere nell’ambito del CSM, evidentemente occorre avere I giusti appoggi delle correnti della magistratura e dei politici nominati dal Parlamento. Entrambi fenomeni patologici.

Ma quanto ci costa il CSM?

La corsa degli uni e degli altri alla nomina, cui consegue un trattamento economico di consigliere di cassazione (che dovrebbe rispettare il limite di 240.000 euro l’anno a testa, ma nessuno protesta per tale spreco), si spiega proprio con l’influenza fortissima che queste nomine hanno sulla vita della magistratura. Le scelte di quest’ultima in tema di politica giudiziaria restano del tutto svincolate dal Parlamento, essendo le forze politiche più interessate alla gestione del potere interno la magistratura che non al modo in cui i capi degli uffici giudiziari disciplinano l’attività di questi ultimi. La ricerca di notorietà da parte dei magistrati e il protagonismo nello svolgimento delle funzioni sono un male bene noto. Ma certamente le proposte di riforma oggi all’esame non garantiscono affatto il superamento dello stato attuale.

Tornare al criterio dell’anzianità e alle prerogative del Presidente e del PG della Cassazione.

La verità è che occorrerebbe ritornare, con legge, al sistema della responsabilità dei capi degli uffici, specie di quelli che valutano le competenze tecniche dei magistrati e l’azione disciplinare nei confronti degli stessi, e cioè  il primo presidente della corte di cassazione e il procuratore generale di quest’ultima. E nella valorizzazione del criterio dell’anzianità, l’unico in grado di evitare che la “corsa” alle cariche più ambite della magistratura scateni la corsa ad avere i necessari appoggi interni ed esterni alla magistratura stessa e di procurarsi titoli con il protagonismo patologico dei magistrati.                                      

 

 

 

                   

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