Politica
Renzi pronto per le elezioni il 14 febbraio, ma Mattarella non ci sta
Di Alberto Maggi (@AlbertoMaggi74)
Primo punto: Matteo Renzi non torna indietro e conferma il no al Senato elettivo. Secondo punto: la minoranza dem, almeno i duri e puri, non accettano mediazioni modello listino regionale. La partita delle riforme costituzionali, che ha iniziato il suo iter in Commissione a Palazzo Madama, rischia davvero di far saltare il Pd ma anche il governo e forse perfino la legislatura.
Andiamo con ordine. Il premier non può e non vuole rimangiarsi la parola. Il Partito Democratico è suo e la linea la detta lui. Il no al Senato elettivo è sicuro ed è un'architrave dell'intera riforma. Ma le parole di Pierluigi Bersani ("sulle riforme istituzionali non c'è disciplina di partito") smontano le ricostruzioni e il can can mediatico dei renziani su un possibile dietrofront della sinistra interna.
A questo punto il premier-segretario, quasi certamente, concederà qualche modifica secondaria - al fine di attenuare quello che in molti definiscono 'premierato troppo forte' con la combinazione con l'Italicum - ma senza toccare le fondamenta della riforma. La speranza è che, soprattutto per la paura di andare alle urne e di non essere ricandidati - in molti nella minoranza Pd decidano di dire sì alla linea del Nazareno.
Sul fronte opposto, la sinistra dem è convinta di essere in 25 a Palazzo Madama e di avere i numeri per far approvare il Senato elettivo, a meno che - come spera Renzi e come non ha escluso il capogruppo di Forza Italia al Senato Paolo Romani - qualche azzurro alla fine non decida di seguire i verdiniani votando a favore della maggioranza.
Ma il nodo è semplice. Si va alla conta. Renzi non fa retromarce e nemmeno la minoranza del Pd. Se tutti o quasi i senatori della sinistra dem confermassero l'intenzione di votare liberamente e non secondo quanto indicato dai renziani - come ha spiegato Bersani - il premier andrebbe sotto. Basterebbe un solo emendamento a favore del Senato elettivo, magari con il voto segreto in Aula, e Renzi dovrebbe dire addio alla sua riforma. O comunque dovrebbe ricominciare dall'inizio, cosa esclusa per tutta l'estate dai vari Guerini e Serracchiani.
Quindi, se vince Renzi si va avanti dritti con il taglio delle tasse, le pensioni e le altre riforme. Ma se il premier finisce sotto tutto cambia e si aprono scenari imprevedibili. A quel punto il segretario del Partito Democratico salirebbe al Quirinale per rassegnare le dimissioni chiedendo al Capo dello Stato di tornare immediatamente alle urne.
Al Nazareno, nelle conversazioni private, già si parla di elezioni politiche domenica 14 febbraio 2016, giorno di San Valentino. Ovviamente Renzi non ricandiderebbe nessuno della sinistra dem e lascerebbe qualche seggio per l'Ncd di Alfano nelle sue liste. Ma la corsa alle urne è tutta in salita. Prima di tutto c'è la Legge di Stabilità da approvare, con i conti da mettere in salvo. C'è poi l'emergenza immigrazione da gestire e soprattutto ci sono due leggi elettorali differenti per Camera e Senato, l'Italicum (Montecitorio) e il Consultellum (Palazzo Madama).
Sergio Mattarella, spiegano nel Palazzo, sarebbe assai restio a sciogliere le Camere portando il Paese al voto in questa situazione interna ed esterna. In molti scommettono su un tentativo di un governo istituzionale o del Presidente e il nome più accreditato è quello di Graziano Delrio. Il ministro delle Infrastrutture è un renziano doc e quindi avrebbe con sé la maggioranza del partito, ma è anche stimato dalla sinistra interna e potrebbe facilmente ottenere l'ok di Forza Italia, o quantomeno l'astensione.
Insomma, la sfida sul ddl Boschi è davvero di quelle da dentro o fuori. Renzi forza la mano e va a vedere le carte della minoranza dem, proprio come in una partita a poker. Se il timore di perdere la poltrona in Parlamento convincerà un numero sufficiente di senatori (dalla sinistra Pd a Forza Italia passando per altri gruppi) bene, altrimenti si aprirà un braccio di ferro con il Colle per le elezioni. Con Deltrio in agguato.