Politica
Lazio, "Rischio alto di perdita della copertura sanitaria universale"

"Grave diseguaglianza. Lazio, parla l’assessore Alessio D’Amato
Si parla da anni di servizi territoriali scollegati agli ospedali e adesso si attendono i fondi del PNRR per ricostruire il territorio e risollevare la sanità, l'ultima ancora di salvezza, senza i quali non ci sarà alternativa alla deriva.
I fondi già stanno arrivando e nel Lazio abbiamo in piedi sei gare europee, una delle quali già aggiudicata per sostituire tutti gli acceleratori lineari. Abbiamo le gare in corso per le tac e per le risonanze magnetiche. E' un percorso in essere, per cui non bisogna attendere chissà quanto. La tempistica molto stretta, abbiamo fatto la scelta di non andare a costruire nuovi siti per le case di comunità, gli ospedali di comunità, ma di utilizzare siti esistenti che non erano utilizzati o erano destinati ad altri scopi. Ci siamo fatti dare anche sedi Ipab, proprio per non consumare ulteriore suolo, per fare più in fretta e costruire questa rete territoriale, il cui elemento fondamentale deve essere quello legato anche alle cure domiciliari, con i servizi di telemedicina, di monitoraggio a distanza, che oggi consente anche di controllare il paziente cronico, evitandogli di fare spostamenti, di fare accessi inappropriati al pronto soccorso. Quindi anche la parte domiciliare è un elemento dominante. Il PNRR sulla parte domiciliare, nella misura sei, ha un obiettivo molto ambizioso, ovvero quello di raggiungere il 10% della popolazione over 65. In Germania stanno al 13%. Per cui il 10% è un obiettivo di tutto rispetto, diciamo per la media europea. Però per arrivare a quel livello dobbiamo spingere molto sulla tecnologia e sui professionisti, sia infermieri che medici, avere un rapporto virtuoso con la medicina di base, che non può essere un elemento estraneo. Tutto questo deve arrivare alla conoscenza dell’utente e soprattutto bisogna renderlo protagonista, perché non vada a fare il giro delle sette chiese, come diciamo noi a Roma, ma che sia il sistema che giri intorno a lui. Ciò significa che un paziente cronico anche multi patologico si potrà monitorare da casa perchè oggi la tecnologia consente di trasferire l’esito di quel monitoraggio in automatico al suo medico di famiglia, che darà un primo parere e se ci sarà bisogno dello specialista, il fascicolo sanitario del paziente potrà essere trasferito immediatamente, così come per il ricovero in ospedale. Ci dovrà essere un sistema circolare, questa è la sfida che abbiamo di fronte e abbiamo pochi anni per costruire questo modello virtuoso e quindi dobbiamo spingere molto sulla digitalizzazione. In Israele, con uno dei sistemi sanitari più avanzati al mondo, la digitalizzazione ha fatto superare molte difficoltà.
Una parola ancora per i professionisti della salute, per i medici, su cui poggia il nostro sistema sanitario, perché ci tengono molto a capire il pensiero del loro assessore riguardo alla loro valorizzazione, al riconoscimento dei loro diritti. Non è che parliamo di fallimento dell'ospedalità?
No, assolutamente! Noi abbiamo una formazione di professionisti che è tra le migliori al mondo. Di questo dobbiamo essere decisamente consapevoli. Nel Lazio abbiamo superato un decennio molto difficile, perché il commissariamento, al di là del termine nel concreto, ha significato una cosa molto precisa, ovvero che se andavano in pensione 100 medici ne potevano essere sostituiti 10. Ecco, questa regola che c’è stata imposta a livello nazionale è andata avanti per 9 anni, e grazie all’azione che abbiamo messo in campo noi non abbiamo più questo cappio, siamo in una fase completamente diversa e bisogna puntare molto sulle risorse umane. Abbiamo chiesto due cose: innanzitutto di rimuovere il vincolo di 17 anni fa sul personale, perché questo rende difficile il reclutamento del personale necessario; a seguire, e anche questa una regola molto semplice, nel servizio sanitario si deve entrare solo con contratto a tempo indeterminato, non ci vuole nulla per far sì che si concretizzi. Purtroppo altrimenti accade che di volta in volta ci troviamo di fronte a dei bacini di precariato di personale con contratti a tempo determinato. Prima erano quelli della legge Madìa, i cosiddetti contratti a 36 mesi, adesso sono quelli dei contratti a 18 mesi. Questa storia non può andare avanti così, non è giusto nei confronti di questi professionisti che comunque rappresentano il valore aggiunto del nostro sistema sanitario, che ci ha risolto i problemi quando ne avevamo bisogno. Ecco quella sarebbe una piccola regola rivoluzionaria, ovvero si entra solo con contratti a tempo indeterminato in maniera tale che coloro che hanno fatto un percorso di studi così ampio, perché occorrono 10 anni per formarsi nelle professioni mediche, abbiamo davanti a sé una stabilità.
Cornuti e mazziati..
Esatto. Questo questo non va bene!
Sappiamo che sono in arrivo 500 medici da Cuba per coprire i buchi dell’organico, ma e' vero che noi prendiamo personale medico, ma soprattutto infermieristico anche dal nord Africa, oltre che dall'est europeo?
Sì, a livello nazionale è stato richiesto soprattutto dal versante est europeo, ma anche dalla Siria, Egitto, Tunisia l’acquisizione di professionisti.
In Italia abbiamo delle scuole di medicina di altissimo livello, sei soltanto nella regione Lazio. Siamo sicuri che tutte queste professionalità siano all'altezza dei nostri standard?
Indubbiamente la preparazione nel nostro Paese è molto elevata e bisognerebbe, come detto, superare l'annoso problema del numero chiuso per superare il problema del reperimento del personale medico in futuro. Però anche in altri paesi hanno una preparazione importante. Il fenomeno della mancanza del personale sanitario lo hanno vissuto anche altri Stati dieci anni fa, come l'Inghilterra. Hanno dovuto fare incetta di personale infermieristico e medico proveniente dall’india, dal Pakistan e dalle Filippine. Ovviamente per loro era più semplice perché avevano la conoscenza della lingua inglese. Poi molti di questi Stati hanno accordi commerciali con gli inglesi. Però il problema esiste e da noi ancora di più, perché abbiamo fatto la scelta del un numero chiuso. Allora dobbiamo scardinare il paradigma. Non è un’azione che si mette in campo da oggi a domani, purtroppo, avendo noi scelto la linea a differenza di altri paesi europei e mondiali della massima qualità. Però noi adesso vogliamo fare le nozze coi fichi secchi, e la laurea in Medicina di per sè non consente di esercitare, ci vuole la specializzazione. Per cui avendo alzato molto l’asticella, a fronte di questo abbiamo ristretto il campo di ingresso e pure mantenuto gli stipendi bassi. Oggi questa situazione non si riesce più a gestire. Ecco perché abbiamo difficoltà e perchè alla fine ci si dobbiamo rivolgere anche all’estero. Bisognerebbe fare anche qua di necessità virtù, voglio dire che anziché avere una situazione ingestibile oppure incontrollata dei flussi migratori e dato che in alcuni settori come nelle cure domiciliari ci mancano professionisti come gli infermieri di famiglia, potremmo andare direttamente a prenderci le figure professionali mancanti e accanto a quelli che formiamo già, colmare quei vuoti.
@vanessaseffer