Politica
Lazio, "Rischio alto di perdita della copertura sanitaria universale"

"Grave diseguaglianza. Lazio, parla l’assessore Alessio D’Amato
Quindi il numero chiuso per la facoltà di Medicina e Chirurgia, mi conferma sia un errore grave?
Si, secondo me è un errore grave, perché ci ha comunque comportato una distonia tra ciò che a noi serve per garantire i livelli essenziali e quanto viene numericamente formato dal nostro sistema universitario. Io capisco, comprendo, che le università sono prudenti su questo tema, perché temono che ci sia una rincorsa al primo anno, che hanno un problema strutturale di aule, di docenti e quant’altro. Però il sistema così non tiene più, e noi dobbiamo sicuramente aumentare il denominatore consentendo a tutti i giovani che vogliono avviarsi verso questa formazione, di poterlo fare. Poi, ripeto, come fanno in Francia si potrebbe inserire un'asticella alta al secondo anno. Chi supera un certo numero di esami con una certa media prosegue, chi invece non ce la fa, desiste.
Più volte lei ha detto che la Danimarca ha la stessa popolazione del Lazio ed ogni danese ha 4.000€ pro capite per la sanità, mentre noi solo 2.000€. Questo per far capire quale sforzo da parte del personale sanitario ci sia stato per mantenere più che egregiamente il sistema sanitario ad un certo livello, poiché nel frattempo la Regione Lazio ha comunque aperto molti servizi, a fronte del fatto che manca molto personale e che ci sono tutti i problemi di contorno che conosciamo.
Anche questo deve essere uno sforzo nazionale, perché il Lazio da solo non può farcela. Ciò significa che bisogna aumentare il fondo sanitario nazionale e che quando si dice che la Danimarca, che ha la stessa popolazione nostra, gode di risorse che sono il doppio delle nostre, sottolineiamo la differenza di come vengono finanziati questi sistemi. Questo ci deve insegnare che aumentare il livello di finanziamento è un tema fondamentale, ma di carattere nazionale. Noi oggi stiamo circa intorno al 6.4% di investimento sul prodotto interno lordo, che è uno tra i più bassi a livello europeo.
Paesi come la Francia e la Germania arrivano anche all’11%, Svezia, Belgio e Danimarca superano il 10%.
Appunto, c’è una differenza molto profonda. Questo è il tema principale per il Paese. Deve essere proprio completamente rivisto questo sistema. E' chiaro che se noi potessimo beneficiare delle stesse risorse che hanno questi paesi, il quadro sarebbe completamente diverso, anche perché noi abbiamo ottimi professionisti e il paradosso è che nonostante abbiamo la metà delle risorse degli altri, dal punto di vista della qualità dei servizi, soprattutto ospedalieri, non abbiamo nulla da invidiare loro. Perché comunque la qualità e gli esiti delle cure, anche quelle complesse, a partire dai trapianti fino a quelle di routine che vengono erogate, sono assolutamente eccellenti. Pertanto significa che qui si fa un miracolo nel cercare di gestire con queste risorse il sistema sanitario regionale. Anche adesso che si andrà verso un rinnovo del Parlamento, questo tema dovrà essere centrale all’attenzione delle forze politiche, dei gruppi dirigenti. Perché la sanità, soprattutto in questi ultimi anni, ci ha insegnato che "è il tema", non è uno tra i tanti temi.
Quanto rischiamo seriamente di perdere la copertura sanitaria universale e diventare privati?
Il rischio è alto. Peraltro è un rischio che già oggi in alcune circostanze è quasi realtà, perché comunque i cittadini sborsano già di tasca propria, annualmente, circa 40 miliardi. Ciò significa che gli italiani spendono già adesso 1/3 di quello che lo stato destina per il fondo sanitario nazionale, che è di circa 120 miliardi, attraverso le regioni per i livelli essenziali di assistenza. Per cui già oggi ciò che si spende dal proprio stipendio o pensione è una componente importante, quindi è lecito ritenere che bisogna rafforzare la gamba pubblica, cioè quei 120 miliardi devono essere di più, perché altrimenti il rischio è che non si riesce a garantire determinati servizi e i cittadini poi sono costretti inevitabilmente a comprarseli, se hanno i soldi.
Quindi rafforzare la gamba del pubblico oppure fare un governativo atto di coraggio e andare verso il privato totalmente?
Ma questo però non è nella nostra cultura. Abbiamo visto che anche nei paesi dove ciò è avvenuto si creano grandi discriminazioni, perché sono altri modelli di assistenza che creano una grave diseguaglianza. Tradotto, da noi oggi un cittadino, ma anche chiunque arrivi nel nostro paese, indipendentemente dal suo reddito, usufruisce di tutta una serie di servizi, dal servizio ospedaliero, al medico di famiglia, alla parte farmaceutica. Se dovesse acquistare da solo tali servizi, dovrebbe pagarsi un’assicurazione che mensilmente costerebbe circa 4/5 mila euro, per cui è evidente che solo una piccola fetta della popolazione potrebbe permettersi di essere coperta e garantita. Questo è quello che accade negli Stati Uniti, dove se sei assicurato hai una copertura di base e poi se vuoi assistenza extra devi avere una copertura assicurativa superiore. Per avere la copertura assicurativa equivalente a tutti i servizi che eroghiamo noi bisogna guadagnare almeno 5.000 $ al mese e allora è chiaro che oltre l’80% della popolazione è tagliata fuori, ecco perchè il nostro modello ci viene invidiato, perchè tende a ridurre le diseguaglianze e dobbiamo perseguire questa strada, ovvero il rafforzamento della componente pubblica.
Troppe pezze sul nostro sistema sanitario, l’articolo 32 non sembra essere garantito, ogni regione fa come vuole, non c'è una linea comune nelle cure. Cosa bisogna fare, mettere mani sul Titolo V, ad esempio?
Probabilmente il Titolo V non ha portato quei benefici che allora pensavano i legislatori e forse andrebbe anche rivisto. Occorre una maggiore omogeneità sul territorio e soprattutto anche un rafforzamento di una cabina di regia da parte del ministero della Salute e sulle indicazioni alle singole regioni. Poi è chiaro che se ci sono regioni che hanno bisogno di essere aiutate ben venga, noi l’abbiamo fatto, anche durante la pandemia. Abbiamo preso molti pazienti provenienti dal nord Italia. Però ci deve essere un equilibrio negli standard che vengono erogati, insomma dal nord al sud. Oggi c’è una tendenza a fare da nord a sud ognuno per proprio conto, e questa cosa non va bene.
Soprattutto sarebbe necessario adottare un protocollo unico, specie quando si tratta di alcune patologie, almeno fra le tre macro aree, e non venti azioni o approcci diversi per ogni regione.
Il regionalismo può dare e ha dato dei benefici, soprattutto per quanto riguarda la conoscenza del territorio e la prossimità, perché non è detto che i servizi gestiti centralmente dallo Stato siano poi più efficienti di quelli gestiti dalle regioni. Faccio un esempio: la scuola. Il servizio formativo è gestito centralmente dallo Stato e diciamo che non brilla per capacità. Per cui ci sono dei pro e dei contro. Allora il tema qual è: bene che certe gestioni siano delle regioni, come per la Sanità, per la conoscenza del territorio, ma è bene che ci sia un controllo maggiore da parte del ministero della Salute e sui servizi che vengono erogati. E laddove dovessero esserci dei problemi anche dei poteri sostitutivi, ecco questo è un po' quello che in questi anni è accaduto, che per molti anni nel controllo delle regioni ha prevalso il Mef. Ma dev'esserci un equilibrio. L’errore di fondo di quest'ultimo periodo è stato che ci si è concentrati più sulla parte economico - finanziaria piuttosto che sulla parte dell’erogazione dei servizi. Allora adesso quella pagina andrebbe definitivamente chiusa e bisognerebbe ripensare all’erogazione dei servizi, soprattutto quelli territoriali, che in questi anni hanno avuto maggiore difficoltà, rimanendo indietro.