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Politica
Scattano i processi interni al M5s e Dibba fa breccia tra i parlamentari

Un vero ribaltamento di prospettiva. Se alla vigilia del voto era il Movimento cinque stelle a dirsi pronto a prestare soccorso al Pd, qualora i risultati avessero messo in crisi la segreteria Zingaretti, all’indomani delle elezioni il quadro si è totalmente capovolto. E il M5s è diventato una polveriera pronta a esplodere. La riprova che la temperatura sia alta, anzi incandescente, sono le chat interne dei parlamentari che ribollono di malumori e rabbia. Sotto tiro, ovviamente, è l’intera gestione della partita del voto, con le diverse tifoserie che difendono o puntano l’indice contro questo piuttosto che quel big pentastellato. E così, in vista dell’assemblea congiunta convocata in tutta fretta per domani sera, i processi sono già partiti. Si passa dal processo veneto a quello campano. E ce n’è davvero per tutti. Se il ministro Federico D’incà è finito nel mirino dei parlamentari del territorio, non è andata meglio all’ex capo politico Luigi Di Maio. “E’ vero che il ministro si è in maniera intelligente intestato la battaglia referendaria, scaricando su altri, uno su tutti Crimi, le responsabilità organizzative delle Regionali - racconta ad Affaritaliani una fonte parlamentare interna al M5s - ma è anche vero che in Regioni come la Puglia o la sua stessa Campania la faccia ce l’ha mesa eccome. E il risultato non si è neanche minimamente avvicinato a un livello di sufficienza”.

Nella guerra di tutti contro tutti, però, c’è chi difende sia D’Incà che Di Maio. A discolpa del ministro dei Rapporti con il Parlamento, una pattuglia di eletti sottolinea il fatto che le elezioni in Veneto non siano “minimamente paragonabili a quelle in Puglia e Campania. Per una ragione molto semplice: il gap profondo tra il candidato M5s in Veneto, poco conosciuto, e le due candidate nelle Regioni del Sud, molto più note sul territorio”. Anche a discolpa dell’ex capo politico del M5s, tuttavia, c’è chi provoca: “Ma le liste chi le ha fatte? Di certo, non Di Maio”. Non senza aggiungere: “Parliamoci chiaro: è evidente che nel Movimento c’è sempre più un problema di competenze che non si possono misurare, evidentemente, in base agli eventi promossi su Rousseau”. Non manca poi neppure una forte insofferenza nei confronti di chi “aveva come mission proprio i territori ed ha fallito. Roberto Fico e Alessandro Di Battista, per esempio, non erano responsabili di meet up? E Paola Taverna non è tra i facilitatori al timone dell’attivismo locale?”. Insomma, della serie: si salvi chi può.

Nel “maxi processo” che vede imputati a turno quasi tutti i big Cinque stelle i riflettori sono puntati pure sulla Liguria: “Qui avevamo un forte seguito. Parliamo, tra l’altro, della Regione di Beppe Grillo. Qualcuno si sta chiedendo cosa non ha funzionato? Siamo davvero sicuri - si sfoga un insider - che l’alleanza col Pd ci abbia giovato?”. Ed ecco che quindi l’osservato speciale è il nodo gordiano dell’alleanza strutturale con i dem. La novità del post elezioni, invece, sembra essere Alessandro Di Battista. Isolato a lungo, ma anche auto-isolatosi, dopo la sua accesa reprimenda indirizzata al Movimento, ieri ha riconquistato una certa centralità: “Nelle chat ha raccolto il plauso di numerosi parlamentari. In molti - spiegano diverse fonti M5s incrociate da Affaritaliani - ne hanno condiviso l’analisi. Il mood prevalente fino a qualche mese fa per cui lo si accusava di pontificare da fuori, quindi, sembra che stia cambiando in suo favore”.
E il capo reggente Vito Crimi? “Paradossalmente - continuano le fonti – le diverse ‘correnti’ in campo gli riconoscono l’onore delle armi e quindi, di aver cercato di dare il massimo, considerando i limiti imposti dalla sua stessa posizione”.

Last but non least, nel mirino è finito pure il ministro della Giustizia Alfonso Bonafede, dopo l’intervista rilasciata a La Stampa: “Ma come, fino ad ora come capo delegazione al governo è stato silente e all’improvviso si sveglia?”, è lo sfogo raccolto dal nostro giornale. E non è il solo contro il guardasigilli. Eccone un altro: “Bonafede? Ha finito con l’aggravare il ruolo di Crimi, costretto a tappare i buchi creati dall’assenza, appunto, del capo delegazione”. Insomma, ce n’è per tutti. Nessuno escluso. Neppure il presidente della Camera Roberto Fico. A molti è andato di traverso, per esempio, il punto stampa che la terza carica dello Stato ha tenuto all’indomani del voto. “Parole fuori contesto - è la critica che gli viene mossa -. Tra l’altro ha parlato di temi identitari del Movimento da portare avanti, dalla riforma Rai alla legge dell’acqua pubblica. Qualcuno dovrebbe ricordargli che si tratta di due battaglie alle quali ha lavorato proprio lui. E, se non bastasse, anche che sono due questioni che attengono al Parlamento”.  

E’ con questo spirito che ci si prepara all’assemblea congiunta dei parlamentari di domani. Una riunione sulla quale più di un deputato storce il naso: “Facciamo una seduta di autocoscienza chiusi nel palazzo? Mi chiedo che senso abbia. E’ sui territori che bisogna andare. E’ lì che bisogna organizzare le riunioni. E’ da lì che bisogna ricostruire il Movimento che sta vivendo una gravissima crisi d’identità. L’identità del M5s va ricercata nella gente che ci ha dato fiducia, ha creduto nel nostro progetto e ora, come dimostra il voto, ci sta voltando le spalle”.  Voltare le spalle, appunto. Proprio quello che, come spiffera ad Affaritaliani un deputato, si starebbero apprestando a fare altri quattro eletti alla Camera già la settimana prossima. Il nome che torna girare con insistenza sarebbe quello di Giorgio Trizzino. Ma il parlamentare, interpellato dal nostro giornale, ha smentito “categoricamente. Non abbandono la nave in difficoltà. Non è nel mio stile”.

 

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