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Da Prestipino a Becciu: quando la giustizia di Stato diventa presunzione di colpevolezza

di Antonio Mastrapasqua

Da Prestipino a Becciu: quando la giustizia di Stato diventa presunzione di colpevolezza

Vaticano giustizialista più dello Stato italiano? Sì e no. La rinuncia al voto nel conclave del cardinale Becciu è stata formalmente una decisione volontaria, ma non è difficile immaginare (in realtà qualcuno lo ha raccontato) le pressioni e i suggerimenti per evitare una manifestazione formale di impedimento. Tutto in forza della condanna in primo grado per peculato (avrebbe comprato e fatto comprare alcuni immobili a Londra utilizzando l’Obolo di San Pietro cioè il fondo fatto di piccole e grandi donazioni che i fedeli affidano al papa (ma in realtà alla segreteria di Stato vaticana) perché venga redistribuito in opere di carità.

Le rinunce di Becciu

Le forme giuridiche sono persino più sottili oltre Tevere. Perché oltre alla condanna (non definitiva) pesano le parole di papa Francesco, che nel 2020, in un comunicato, disse di aver “accettato la rinuncia dalla carica di prefetto della Congregazione delle cause dei Santi” di Becciu e anche di aver accettato il ritiro di Becciu “dai diritti connessi al cardinalato”. Una formula che non faceva perdere l’intera “dignità cardinalizia”, ma suggeriva una non partecipazione a un prossimo Conclave. Becciu l’ha sempre pensata diversamente, fino a pochi giorni fa quando ha fatto il passo indietro. Spinto, di fatto, dal giustizialismo vaticano.

La pena di morte OltreTevere abolita nel 1967

Sia detto per inciso: fino al 1967 in Vaticano era legale la pena di morte. Formalmente venne abolita addirittura solo nel 2001 da san Giovanni Paolo secondo. Insomma, di giustizialismo se ne intendono. Ma anche nel loro caso molto spesso si tratta di giustizialismo a intermittenza, come accade anche nello Stato italiano. La solita contrapposizione tra garantisti e giustizialisti vede spesso le schiere scambiarsi i sostenitori, più in relazione alla convenienza – personale, di parte o di partito – che alla convinzione più profonda.

Il "caso Prestipino": scatta la presunzione di colpevolezza

Le cronache di questi giorni riaccendono la polarità, in relazione all’inchiesta di cui è stato fatto oggetto il Procuratore aggiunto della Direzione nazionale antimafia, Michele Prestipino, indagato per rivelazione del segreto d'ufficio. Il magistrato è stato iscritto nel registro degli indagati dalla procura di Caltanissetta. Immediata la decisione del procuratore nazionale antimafia Giovanni Melillo di revocargli con effetto immediato le deleghe di coordinamento investigativo. Il garantismo che abitualmente scatta in favore dei magistrati – quando sono oggetti di indagine, e che non sempre viene riservato ai soggetti da loro indagati – in questo caso è scattato solo a metà. La revoca di Prestipino, per volere del suo capo, Melillo, rischia di vedere affermata una presunzione di colpevolezza, contro la normale e costituzionale presunzione di innocenza.

La nota della Procura di Caltanissetta

La rivelazione del segreto, contestata a Michele Prestipino “avrebbe riguardato rilevanti particolari delle indagini in corso da parte di alcune Dda (direzioni distrettuali antimafia), anche con riferimenti all'uso delle intercettazioni, nonché della funzione di coordinamento svolta sin dalle prime battute dal Procuratore Nazionale Antimafia e Antiterrorismo”, afferma una nota della Procura di Caltanissetta.  

L'ipotesi dell'accusa è questa: Prestipino, in violazione dei doveri inerenti la sua funzione “ed abusando della relativa qualità, rivelava notizie che dovevano rimanere riservate ai sensi dell'art 329 c.p.p. (obbligo di segreto, ndr) a Giovanni De Gennaro, presidente del consorzio di imprese ‘Eurolink’ incaricato della realizzazione di opere pubbliche note come ‘Ponte sullo stretto di Messina’ e a Francesco Gratteri, consulente della società ‘We Build’, socio di maggioranza del predetto consorzio”.

Le notizie "rivelate"

“Secondo l'ipotesi accusatoria – come si legge nei comunicati - sono state rivelate, quindi, notizie gravemente pregiudizievoli per le indagini di più uffici distrettuali; peraltro, vi sono concreti elementi per ritenere che Gratteri, anche per conto di De Gennaro, avrebbe già avvisato del corso delle indagini medesime alcuni protagonisti della vicenda”.

Secondo alcune fonti giornalistiche Prestipino avrebbe parlato di queste indagini anche (o forse solo) con il suo ex capo, Giuseppe Pignatone, anch’egli indagato da Caltanissetta per aver favorito alcuni boss insabbiando un’inchiesta quando era magistrato nel capoluogo palermitano. Anzi, è probabile che sia stato lo stesso Pignatone a trasferire a De Gennaro e Gratteri le informazioni acquisite da Prestipino.

Il doppiopesismo

E’ curioso che lo scatto giustizialista a carico di Prestipino – subito sospeso dal suo incarico – non sia stato mai condiviso dalle sorti di Pignatone, a sua volta indagato (sempre a Caltanissetta) su fatti relativi agli anni in cui Pignatone era capo della Procura di Palermo. La carriera di Pignatone è continuata senza conseguenze. E dopo il pensionamento dai ruoli nello Stato italiano, fino al dicembre 2024 è stato presidente del Tribunale Vaticano. L’ipotesi di reato nei suoi confronti – favoreggiamento alla mafia – non gli aveva impedito una fulgida carriera ai vertici della Giustizia anche oltre Tevere.

La giustizia (umana) non è uguale per tutti. Speriamo lo sia quella divina, nonostante qualche incertezza anche in Vaticano.

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