Il Sociale
Burkina Faso, la cooperazione nelle foto d'artista


























Deo Gratias è un lavoro fotografico - esposto fino al 2 agosto alla Triennale di Milano - che racconta i progetti di cooperazione che Coop Lombardia sostiene da oltre 25 anni in Burkina Faso.
“Tutto nasce per caso nel 1990 - spiega il direttore delle politiche sociali Alfredo De Bellis - grazie a un incontro fortunato tra uno studente burkinabè, la Facoltà di Agraria dell’Università degli Studi di Milano e la nostra cooperativa. Il primo progetto è di agro-ecologia e il motto è produrre senza distruggere. Bisognava trovare il modo di contrastare l’avanzamento del deserto e far dialogare due culture diverse, perfezionando la tecnica, ma tenendo ben presente quelle che erano le conoscenze, le idee e i metodi di lavoro tradizionali. E da allora, in collaborazione con i gruppi di villaggio, raggruppamenti pre-cooperativi con finalità di sostegno alle attività locali, sono stati avviati moltissimi progetti che dall’agricoltura si sono estesi anche ad altri ambiti e che coinvolgono soprattutto le donne. Non a caso nel 2001, si è affiancata a Coop Lombardia anche l’associazione Donne per le Donne che segue una serie di progetti tutti al femminile perché è proprio intorno a queste figure che ruota l’economia familiare”.
FOTOGRAFIE E VIDEO DI SILVIA AMODIO A CURA DI ROBERTO MUTTI
TRIENNALE DI MILANO (SPAZIO TIM4EXPO) FINO AL 2 AGOSTO
LUNEDI – DOMENICA (ORE 10 – 23) INGRESSO GRATUITO
DEO GRATIAS di Silvia Amodio
Il titolo di questa mostra Deo Gratias, che letteralmente nella lingua latina significa grazie a Dio è stato preso in prestito dal nome dello studio fotografico che Bruce Vanderpuije ha aperto in Ghana nel 1922. Quando va bene in Burkina si mangia una sola volta al giorno. Questa espressione riassume lo spirito delle persone che vivono in un paese così povero dove non resta che affidare il proprio destino al Signore. Sono andata in Burkina Faso per seguire un progetto di cooperazione sostenuto da Coop Lombardia in collaborazione con l’associazione Donne per le Donne. Si dice che le donne siano la spina dorsale dell’Africa. Sono loro che si fanno carico dei compiti più pesanti, coltivare il terreno, andare a prendere l’acqua al pozzo distante anche molti chilometri, occuparsi delle faccende domestiche e crescere i bambini, che sono però considerati una proprietà del marito. Nei villaggi le donne hanno una vita più dura rispetto a quelle che vivono in città e sono più dipendenti dal marito.
L’istruzione è più accessibile ai maschi che alle femmine. Fino a 40 anni fa le mutilazioni genitali femminili erano una pratica molto diffusa. Oggi, e solo grazie ad una serie di campagne di sensibilizzazione, che hanno ridotto il fenomeno, l’intervento coinvolge ancora il 30% delle donne. Il 52% della popolazione è donna e nonostante sia percepibile una maggiore attenzione da parte delle autorità verso le questioni femminili, lo stato da solo non riesce a fare molto e un grande aiuto è dato dalle iniziative di piccole associazioni e progetti di sensibilizzazione.
Burkina Faso, ha un significato romantico, nella lingua locale il Morè significa La terra degli uomini integri. Un nome che gli è stato assegnato nel 1984 da un leader carismatico Thomas Sankarà in sostituzione di Alto Volta, come qualcuno ancora se lo ricorda.
Vale la pena parlare di questa figura perché aiuta a comprendere meglio il paese. Thomas Sankarà è stato al potere solo quattro anni, prima di essere assassinato, insieme a dodici ufficiali, in un colpo di stato. Molti lo hanno definito il Che Guevara africano. Per essere coerente con i suoi ideali e per dare il buon esempio si diminuì lo stipendio. Visse sempre modestamente, senza agi e senza lussi, abolì le auto ministeriali che sostituì con le più economiche Renault 5, e con i soldi risparmiati finanziò campagne di vaccinazioni. Costruì case, ferrovie e ospedali e garantì due pasti e 10 litri di acqua al giorno a tutti gli abitanti.
Favorì la scolarizzazione e affidò ruoli di potere alle donne. Poveri sì, ma nella dignità. Con la sua morte questa favola ha avuto un triste epilogo e il paese è ripiombato nella miseria. Il Burkina è il terzo paese più povero al mondo e quello con il più alto tasso di analfabetismo. La desertificazione avanza rubando terreno alle attività agricole. I bambini muoiono di malaria, dissenteria, polmonite, Aids, e l’aspettativa di vita non supera i 50 anni.
Eppure qui si respira aria di cultura e di tradizioni, il paese accoglie un importante festival internazionale del cinema, compagnie teatrali, e importanti eventi musicali. Dal 1987 ospita pure la riedizione del Tour du Faso, la famosa gara di ciclismo organizzata dalla stessa società del Tour de France, dove anche Coppi partecipò nel 1959 contraendo la malaria, a causa della quali morì.
È un paese dove la poligamia è molto diffusa e dove musulmani, cristiani e animisti convivono in pace. Un paese fondamentalmente tranquillo, almeno per come l’ho vissuto io, ma che sente profondamente la nostalgia del suo leader. Ho voluto raccontare questo luogo attraverso il ritratto, spostarmi dai cliché africani di bambini con gli occhi liquidi e i pancini gonfi per concentrarmi sul singolo individuo. Ad un occhio attento e sensibile alcuni particolari rivelano molte informazioni: la religione, la classe sociale, la professione, una passione.
Guardando le fotografie mi è stato chiesto molte volte se avevo vestito o pettinato le persone prima di ritrarle, tanto apparivano belle e in posa in questi immagini. Invece no, ho lavorato improvvisando un set al mercato, nelle strade, in luoghi affollati portandomi dietro un semplice telo che ho usato come sfondo per estrapolare dal contesto le persone. Chi voleva posava per me.
Il filo conduttore di questi volti è la fierezza, poveri sì, ma nella dignità, come recitava Thomas Sankarà.