Pirlo oggi rivela: “La Coruna? Pensai che fossero dopati". Spagnoli furiosi
"Le probabilità che non riuscissimo a passare il turno erano pari a quelle di vedere, prima o poi, Gattuso laureato in lettere. Ci siamo fatti male da soli, e questa è la premessa necessaria, però ripensandoci a qualche anno di distanza c'è qualcosa che non mi torna". Nuove rivelazioni dalla biografia di Andrea Pirlo. Questa volta parla della disfatta di La Coruna. Dopo il 4-1 di San Siro, il Milan venne eliminato perdendo 4-0 al Riazor. Il centrocampista confida: "I nostri avversari andavano a mille all'ora, compresi giocatori un po' in là con l'età, che non avevano mai fatto della velocità abbinata alla resistenza fisica il loro punto di forza. La scena che più mi ha colpito è stata vederli correre, tutti, nessuno escluso, anche nell'intervallo. Quando l'arbitro Maier ha fischiato la fine del primo tempo, sono schizzati nello spogliatoio, l'andatura era quella di Usain Bolt. Non riuscivano a fermarsi nemmeno in quel quarto d'ora di riposo tecnico, inventato apposta per tirare il fiato, quantomeno per camminare. Fulmini imprendibili, schegge impazzite". Pirlo comunque sottolinea: "Non sono in possesso di prove, per cui la mia non è un’accusa, mai mi permetterei di formularla. Semplicemente è un pensiero cattivo che mi sono concesso, però per la prima e unica volta nella vita mi è venuto il dubbio che qualcuno sul mio stesso campo potesse essersi dopato".
LE DURE REAZIONI DEI GIOCATORI DI QUEL DEPORTIVO - Fran: "Se cominciamo a dubitare di ogni goaleada allora che dovremmo dire del Milan che schiacciò il Barcellona ad Atene vincendo 4-0? Non voglio perdere altro tempo con queste assurdità". L'attaccante Pandiani: "Dice queste cose 10 anni dopo. Perché non organizziamo una nuova partita con i giocatori di allora e vediamo chi è il più forte?". Victor: "Il Deportivo La Coruña, con i suoi tifosi, il club e i giocatori, si aspetta delle scuse da Pirlo per quanto scritto nel suo libro".
Pirlo: “Dopo Istanbul ho pensato di smettere. E poi cosa peggiore non mi sentivo nemmeno un uomo ..." - “Ho pensato di smettere, credevo che nulla nello sport avesse più senso. Quella finale mi aveva svuotato: ancora adesso non ho idea di come sia potuto succedere, ma la verità è che quando l’impossibile diviene realtà, qualcuno lo prende il quel posto. In quel caso a farlo fu tutto il Milan: un suicidio di massa". Una confessione, a distanza di nove anni, firmata Andrea Pirlo. Il centrocampista bresciano ovviamente si riferisce alla tragica (sportivamente parlando) sconfitta contro il Liverpool di Rafa Benitez. Quando si passò da 3-0 a 3-3 in una finale maledetta. Dominata e persa dal Milan. "Quando finì quella tortura, ci ritrovammo negli spogliatoi dell’Ataturk: non riuscivamo a parlare e a muoverci. Mentalmente eravamo a pezzi. E col passare delle ore fu anche peggio: insonnia, rabbia, depressione. Avevamo inventato una nuova malattia: la sindrome di Istanbul", racconta. E spiega: "Non mi sentivo più un giocatore, ma cosa ancora peggiore non mi sentivo nemmeno un uomo, non osavo più guardarmi allo specchio. Credevo che la mia storia calcistica fosse finita. Non ho più guardato quella gara, fa troppo male. Ma fu un messaggio per le generazioni future: se ti senti invincibile, stai facendo il primo passo su una via di non ritorno”.
Lo juventino ha raccontato anche un divertente aneddoto. "Ho giocato molto nella mia prima stagione all'Inter. Il pre-campionato andò molto bene e Simoni mi concesse molto tempo, sia da titolare che come prima riserva. Poi arrivò Lucescu che diede più spazio ai giocatori più esperti, in seguito Castellini, subentrato al rumeno, riteneva che io fossi ok, mentre Hodgson storpiava il mio nome: mi chiamava Pirla, forse leggendo meglio di altri allenatori la mia vera natura. In quell'anno cambiammo quattro allenatori. Mi sbagliavo la mattina e non mi ricordavo chi fosse allenatore".