Affari Europei
Crisi immigrazione, ecco la strategia del premier Orban

La gestione dell’emergenza migranti è sempre una priorità per il governo ungherese che sottolinea in ogni occasione utile il suo impegno responsabile dall’inizio della crisi. Un impegno che per l’esecutivo guidato da Viktor Orbán è basato principalmente sulla difesa dei confini. Alla scorsa seduta del Consiglio d’Europa il ministro degli Esteri ungherese, Péter Szijjártó, ha detto che bisogna rispettare le regole di Schengen e difendere in modo efficace i confini dell’Unione europea. Per il capo della diplomazia ungherese che ultimamente ha avuto un ruolo da protagonista nel contraddittorio con Bruxelles e nelle polemiche con Bucarest e Zagabria, l’Ungheria è tra i pochi paesi che hanno rispettato e continuano a rispettare queste norme.
La preoccupazione di Budapest è che gli imponenti flussi migratori provenienti dall’Asia e dall’Africa finiscano con invadere l’Europa e minacciare la sua sopravvivenza di entità culturale caratterizzata da valori secolari.
Tutta la campagna del governo Orbán sulla questione migranti è incentrata su questo problema e su quello della sicurezza. Il primo ministro ungherese ha più volte avuto modo di chiarire il suo punto di vista sull’immigrazione con una serie di affermazioni pubbliche: in esse il premier ha ammesso di considerare il fenomeno negativo da diversi punti di vista tra i quali quello della sicurezza pubblica, in quanto potenziale veicolo di terrorismo. Tra le iniziative del governo vi è da ricordare la “Consultazione nazionale sull’immigrazione e il terrorismo”, un questionario inviato ai cittadini ungheresi invitati a rispondere a dodici domande nessuna delle quali formulata in modo tale da presentare in modo positivo la figura del migrante.
Il nesso tra il fenomeno dell’immigrazione e quello del terrorismo è stato stigmatizzato dall’opposizione ungherese di centro-sinistra peraltro critica nei confronti dell’intera politica adottata dal governo in questo ambito. Ma l’esecutivo ha dichiarato più volte di avere l’appoggio degli ungheresi e oggi a Budapest e nelle altre città ungheresi si vedono cartelloni con su scritto “Gli ungheresi hanno deciso. Bisogna difendere il paese”.
L’inquietudine che si è diffusa nella società magiara a fronte del fenomeno è stata comunque accentuata dalla propaganda del governo e dagli scenari inquietanti evocati da Orbán e dai suoi collaboratori in riferimento al pericolo che viene da fuori. La stampa ungherese d’opposizione sottolinea quanto l’emergenza migranti sia stata utile al governo per distogliere l’attenzione pubblica da alcuni argomenti scomodi: il fallimento del settore assicurativo, gli scandali aventi al centro figure di rilievo facenti parte dell’entourage del primo ministro, incluso il suo figlioccio, ex proprietario di un’azienda sotto inchiesta, i calcoli sbagliati per il rinnovamento delle vetture della Metropolitana 3 e il rallentamento della crescita economica.
La politica adottata dal governo sul tema dell’immigrazione ha quindi una doppia funzione: in termini di politica interna aiuta le autorità a mettere in secondo piano i problemi esistenti nel paese, gli scandali precedentemente citati, e a recuperare il consenso perduto a favore dell’estrema destra rappresentata da Jobbik (secondo le ultime stime a settembre la popolarità del partito governativo Fidesz è migliorata rispetto ai mesi precedenti). Sul piano della politica estera il governo porta avanti un contraddittorio con Bruxelles e alimenta il conflitto tra la periferia e il centro dell’Ue. Periferia rappresentata dai paesi dell’Europa centro-orientale che concepiscono in modo diverso la gestione dell’emergenza migranti. L’Ungheria di Orbán dà l’impressione di voler assumere un ruolo di punta in questo confronto che vede al centro la reazione centro-orientale nei confronti di un’Unione europea giudicata incapace di risolvere efficacemente i problemi reali e di capire le esigenze dei singoli paesi che la compongono, specie dei membri di più recente data.
Il governo ungherese sottolinea le incertezze, l’inadeguatezza dell’Ue a gestire le emergenze dei nostri tempi e il suo carattere di costruzione difettosa e destinata a cedere, prima o poi, sotto il peso delle sue stesse contraddizioni. Per il governo Orbán l’inconsistenza dell’Ue è dimostrata anche dall’inopportunità di certi orientamenti come quello della politica delle quote che, secondo il premier, si potrebbe accettare solo se i paesi membri fossero davvero capaci di difendere le loro frontiere e quindi di concorrere adeguatamente alla tutela dei confini di Schengen.
All’ONU il ministro degli Esteri Szijjártó ha affermato che a questo punto sarebbe il caso di parlare non più solo di quote europee ma di un sistema di quote mondiali per una migliore e più efficace gestione del problema. Szijjártó si è riferito ai grandi protagonisti della politica mondiale che con le loro decisioni hanno contribuito all’instabilità delle aree dalle quali oggi si muovono ingenti flussi migratori. Una di esse è la Siria, e il capo della diplomazia di Budapest ha affermato che se non s’interviene nel conflitto in atto in quel paese non si potrà risolvere la crisi dovuta al consistente e continuo arrivo di migranti in Europa, soprattutto considerando il fatto che la maggior parte di essi, ha detto, viene proprio dalla Siria.
Massimo Congiu, giornalista e direttore dell'Osservatorio Sociale Mitteleuropeo, per l'ISPI
