Caffè, il cambiamento climatico mette a rischio le piantagioni in Etiopia

A repentaglio le piante e gli agricoltori, che da soli non possono permettersi di far fronte all’emergenza, anche a causa del prezzo troppo basso del prodotto

di Redazione Economia
Caffé (foto pexels)
Economia

Emergenza clima, a rischio le piantagioni di caffè in Etiopia

Il cambiamento climatico non smette di fare danni. Anche a lungo termine. È il caso delle piantagioni di caffè dell’Etiopia, messe a dura prova dagli effetti dell’emergenza ambientale, e non solo.

Effetti già evidenti dalla ruggine sulle foglie. Un rapporto drammatico di Christian Aid, organizzazione impegnata a combattere la povertà nel mondo promuovendo uno sviluppo sostenibile dei Paesi più in difficoltà, fornisce numeri poco rassicuranti riportati da Gambero Rosso. L’organizzazione ha calcolato che le attuali condizioni climatiche ridurranno del 54,5% la quantità di terreno adatto alla coltivazione del caffè. Una tendenza che sembra irreversibile, secondo Christian Aid, anche nel caso in cui l’aumento della temperatura globale dovesse rimanere sotto i 2°C come stabilito dall’accordo di Parigi.

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Caffè, oltre all'emergenza climatica c'è il problema del prezzo

Una relazione poco rassicurante che evidenzia problemi già più volte denunciati dai coltivatori in piantagione e dai vari addetti ai lavori, come specifica David Taylor, senior policy manager della Fairtrade Foundation. A essere in pericolo non è solo la coltivazione ma i mezzi di sussistenza di una popolazione: “Le comunità agricole hanno un ruolo fondamentale nell’affrontare la crisi climatica e hanno le competenze per farlo”, ma la maggior parte dei produttori non può permettersi di farlo, perché il prezzo che riceve è troppo basso. Un argomento ormai “vecchio”, quello del prezzo del caffè, eppure ancora così attuale, soprattutto necessario. Continuare con questo livellamento verso il basso (in termini di qualità e prezzo) è oggi più che mai un’operazione pericolosa, in vista poi di condizioni economiche sempre più instabili: quel pezzo mancante lo paga sempre qualcuno, che si tratti dell’ambiente o degli agricoltori o – come nella maggior parte dei casi – entrambi. Naturalmente, occorre ripensare i sistemi di coltivazione e la gestione delle risorse nei Paesi d’origine, come sta già avvenendo in alcuni territori grazie a una serie di progetti virtuosi messi in campo da professionisti del settore. Ma la strada da percorrere è ancora lunga.

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