La catena del lavoro agricolo in Italia oscilla tra eccellenze e sfruttamento

Intervista a Stefania Prandi e Francesca Cicculli, autrici dell'inchiesta sulla filiera produttiva dei kiwi, di cui l'Italia è primo esportatore in Europa

di Roberta Nutricati
Economia

Il presidente Mattarella partecipa alla Fiera internazionale dell’ortofrutta di Cesena

Oggi il presidente Sergio Mattarella è stato in visita ufficiale all’anteprima di Macfruit, Fiera internazionale dell’ortofrutta, organizzata da Cesena Fiera e che il 3 maggio, apre i battenti al pubblico. Dopo 26 anni dall’ultima volta, il Capo dello Stato prende parte a questo storico evento di settore - che festeggia il 40esimo compleanno - per dare risonanza alla portata del mercato ortofrutticolo nell’economia italiana, specie nell’ottica di valorizzare sempre più i prodotti che tanti Paesi ci “invidiano”. “È un’occasione importante anche perché manifesta le potenzialità di questo straordinario settore così importante nella nostra agricoltura - ha dichiarato il presidente della repubblica in apertura del suo discorso - e quindi per la nostra economia, con prodotti di straordinaria eccellenza, apprezzati ovunque nel mondo, che ogni iniziativa condotta all’estero fa ulteriormente apprezzare e conoscere, come dimostra anche il livello di esportazione di questi prodotti in partenza dall’Italia” conclude Mattarella.

Il sindaco di Cesena Enzo Lattuca: ”Non dimentichiamoci il caporalato”

All’indomani della Festa dei lavoratori, il sindaco della città che ospita Macfruit interviene, alla presenza del Capo dello Stato, per ribadire il nodo centrale da scongiurare quando si parla di lavoro agricolo e produzione ortofrutticola. “Il settore ortofrutticolo non può prescindere dalla manodopera, composta anche da lavoratori e lavoratrici stranieri, che non ci hanno sostituito, come a soppiantare la nostra stirpe, ma da anni contribuiscono alle nostre imprese e alla nostra economia".

Così in un passaggio del suo discorso il sindaco di Cesena Enzo Lattuca. "Anche a queste persone - ha aggiunto il primo cittadino - dobbiamo garantire che attraverso il lavoro sia garantita un'esistenza libera e dignitosa". L'obiettivo ricordato da Lattuca "soddisfare i bisogni della generazione presente senza compromettere quelli delle generazioni future", ha detto. "Qui abbiamo imprese leader a livello nazionale che continuano a investire, anche loro dovranno essere in grado di cogliere la sfida, da un lato la valorizzazione della qualità delle produzioni e dall'altro la sicurezza sul lavoro, cacciando quell'erba infestante che prende il nome di caporalato". Il riferimento evidente alla questione accende i riflettori su una piaga radicata storicamente nel tessuto economico dell’Italia.

L’inchiesta “Il gusto amaro dei kiwi”: l’intervista a Stefania Prandi e Francesca Cicculli

Per entrare nel merito della spinosa questione, Affaritaliani ha scelto di intervistare Stefania Prandi e Francesca Cicculli, due giornaliste freelance impegnate da tempo sul fronte del giornalismo investigativo. In particolare, Prandi è specializzata sullo sfruttamento agricolo nell’area del Mediterraneo (nel 2018 ha pubblicato per Settenove il libro-inchiesta Oro rosso. Fragole, pomodori, molestie e sfruttamento nel Mediterraneo), e Cicculli fa parte della pluripremiata IrpiMedia ed è specializzata nel tracciamento delle aziende e delle loro responsabilità, con tools e tecniche OSINT (Open Source Intelligence). Queste due giornaliste rappresentano "la quota italiana" del team che ha condotto l'inchiesta internazionale - da maggio a dicembre 2022 - Il gusto amaro dei kiwiin cui viene indagata la filiera del lavoro agricolo nell’area più rappresentativa del mercato ortofrutticolo italiano, l’Agro Pontino, nella provincia di Latina. Contestualmente, l’inchiesta ha portato alla luce anche le condizioni di braccianti e lavoratori agricoli stranieri - cui faceva riferimento il sindaco Lattuca oggi - evidenziando quanti problemi si celino dietro una filiera tanto rilevante per l’economia italiana. A proposito, è utile ricordare che il nostro Paese è il maggior produttore ed esportatore di kiwi in Europa.

Qual è stato il punto di partenza dell'inchiesta?

Molte inchieste prima della nostra hanno affrontato le questioni dello sfruttamento nell’Agro Pontino. Noi abbiamo deciso di lavorare a un progetto internazionale, tra Danimarca, Italia e India, cercando di risalire l’intera filiera di un prodotto rappresentativo come i kiwi, la cui produzione italiana si concentra principalmente nella provincia di Latina. Abbiamo combinato il lavoro sul campo all’indagine sulla catena. Siamo partite dai kiwi trovati nei supermercati danesi, abbiamo rintracciato i distributori che commercializzano la frutta nel nord Europa, e siamo arrivate ai piccoli produttori locali, ai consorzi intermedi e alle multinazionali. In questo percorso, abbiamo rintracciato le diverse responsabilità legate allo sfruttamento dei braccianti sikh nei campi di kiwi di Latina. Inoltre, siamo state in India per capire quali sono le rotte e le modalità della tratta della manodopera migrante.

Lavoratore straniero in un campo dell'Agro Pontino
 

Le violazioni dei diritti dei lavoratori riguardano chiunque finisca nella filiera del lavoro agricolo di Latina oppure sono appannaggio delle persone immigrate in Italia?

Gli anni di erosione dei diritti del lavoro e l’indebolimento dei sindacati condizionano tutte e tutti. I lavoratori che si trovano in condizioni più sfavorevoli, come gli immigrati che hanno alle spalle un progetto migratorio con debiti da ripagare e intere famiglie nei Paesi di origine da mantenere, sono più ricattabili e maggiormente disposti ad accettare paghe basse e a stringere i denti di fronte a situazioni di sfruttamento e di ingiustizia. Chi si ribella, spesso, fatica ad avere un supporto e si ritrova a pensare di dover procedere seguendo la via giudiziaria. La giustizia che passa dai tribunali, però, è solitaria, faticosa e rischiosa. In passato ci sono state lotte collettive importanti a Latina che hanno portato a un aumento delle paghe orarie, ad esempio, che partivano da tre euro. Purtroppo, a un certo punto, la capacità di pressione dei lavoratori si è arrestata, e il sistema oppressivo ha continuato ad avere la meglio.

Perché in Italia si parla di caporalato e condizioni di lavoro inumane solo quando fa scalpore il personaggio di turno che ha un ruolo nei palazzi della politica italiana?

In passato ci sono state inchieste giornalistiche importanti che hanno denunciato il sistema di sfruttamento del lavoro in agricoltura. Negli ultimi anni, tuttavia, è sempre più difficile che certi lavori articolati riescano a vedere la luce e ad avere visibilità nei media mainstream per diverse ragioni, soprattutto legate alle logiche del giornalismo italiano. Ci sono varie motivazioni dietro a questo andamento. Le inchieste richiedono fondi e spesso sono realizzate in collaborazione con i freelance che si trovano sempre di più a dovere cercare finanziamenti all’estero (molto difficilmente i giornali italiani hanno budget adeguati per inchieste a lungo termine). Inoltre, sembra che ci sia un’agenda generale che non ritiene di dovere dare troppa importanza ad alcune tematiche, se non in determinati momenti e in certi modi approssimativi. Questa tendenza, per quel che vediamo, non corrisponde al reale interesse di una parte dell’opinione pubblica che continua ad avere a cuore il modo in cui viene prodotto il cibo compriamo e mangiamo.

Braccianti indiani Sikh

Che cosa ne pensate dei certificati Grasp (che, da normativa, sono valutazioni a cui ci si sottopone in modo volontario e non richiedono livelli minimi di conformità obbligatori)?

Le certificazioni non bastano a garantire la tutela dei lavoratori. Occorre, quindi, sia sul lato internazionale sia nazionale, riformare questi sistemi di certificazione volontaria fissando norme più stringenti per le aziende produttrici (dai piccoli produttori alle multinazionali), in modo che le responsabilità dello sfruttamento siano chiare e facilmente rintracciabili. Se gli standard internazionali volontari non sono sufficienti, servono leggi e strumenti che regolarizzino il mercato del lavoro e garantiscano la protezione dei lavoratori. Gli stessi certificatori hanno dichiarato al giornale FruitBook Magazine, che li ha interpellati proprio in seguito alla nostra inchiesta sulla provincia di Latina: lo standard volontario non è concepito “per determinare se un produttore ha condotto un’operazione illegale o se ha commesso un reato. Gli standard volontari si basano sull’idea che un produttore cerchi di rispettare una serie di criteri e principi. Se il produttore viola la legge o collabora intenzionalmente con la criminalità organizzata per ingannare il sistema e fornire informazioni false per imbrogliare la legge, non ci si può aspettare che gli standard volontari sostituiscano la polizia o il sistema giudiziario nel raccogliere prove e condurre indagini. Questo tipo di situazioni (per legge) non rientrano nell’ambito di applicazione dei sistemi di certificazione volontari. Le questioni penali sono riservate alla polizia e al sistema giudiziario”.

Il decreto flussi presta il fianco al raggiro del sistema degli agenti per gli arrivi dei lavoratori dall’India?

Le numerose inchieste (anche giudiziarie) sullo sfruttamento nei campi italiani e sull’inefficienza del Decreto flussi non hanno ancora portato a un cambiamento del sistema, che viene modificato di governo in governo senza procedere però a una vera riforma incentrata sulla legalità. Per disincentivare i finti contratti, la compravendita dei contratti, e le altre irregolarità sotto gli occhi di tutti, dovrebbe essere garantito l’ingresso in Italia per la ricerca del lavoro, evitando che gli stranieri extracomunitari debbano possedere un contratto già prima di partire. Come possono i lavoratori immigrati conoscere già gli imprenditori italiani disposti a farli lavorare? È evidente che questo sistema genera un traffico illegale di esseri umani costretti a pagare per venire a lavorare in Italia. Oltre a riformare le modalità di ingresso per i lavoratori stranieri, occorre poi aumentare i controlli sulle aziende italiane che impiegano gli stagionali. La legge contro il caporalato del 2016 è stata un importante passo in avanti, ma il sistema di sfruttamento ha già trovato nuove forme per rimanere vivo, come ha raccontato bene Marco Omizzolo nella nostra inchiesta e nei suoi libri.

I lavoratori hanno avuto delle resistenze ad aprirsi per raccontare la propria esperienza? Quali sono state le difficoltà maggiori?

Abbiamo incontrato i braccianti che hanno deciso di farsi intervistare soltanto con la garanzia dell’anonimato. Il territorio di Latina può rivelarsi particolarmente feroce con i lavoratori che decidono di denunciare certe condotte irregolari ai giornalisti. La prima conseguenza può essere la perdita del posto del lavoro, ma ci possono essere conseguenze anche più gravi. Ottenere la fiducia dei lavoratori ha richiesto un lungo lavoro sul campo ed è stato possibile soltanto grazie all'intermediazione di figure presenti sul territorio che avevano rapporti consolidati con i braccianti. Questa è stata sicuramente la difficoltà più grande. Un’altra difficoltà è stata quella di spiegare la complessità di un territorio come quello di Latina, con una stratificazione di sistemi di irregolarità e sfruttamento, alle colleghe straniere con cui abbiamo collaborato. Certe logiche tutte italiane, che sembrano "normali" a molti, non lo sono affatto per persone che vengono da paesi dove la legalità ha un significato più letterale e lineare.

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