Governo, nomine? Meloni si "piega" a Quirinale, Ue e Magistratura. Ecco perché

Il dietro le quinte inconfessabile sulla grande partita del potere

Di Alberto Maggi
Politica

Governo, nomine: vince sempre la conservazione

"La conservazione vince sempre. La conservazione ha come primo sponsor il Quirinale, ma anche la Magistratura e l'Unione europea". Così una fonte governativa ai massimi livelli, rigorosamente off the record, legge in controluce le nomine del governo Meloni che, invece che usare il "machete" (come evocò settimane fa il ministro della Difesa Guido Crosetto), ha usato il tagliaunghie.

Affaritaliani.it ha già spiegato bene che cosa è accaduto sulla partita dei grand commis della Repubblica in questo articolo e la notizia più eclatante è certamente la rinuncia da parte di Giorgia Meloni di piazzare Antonio Turicchi (che sarebbe stata una vera svolta) sulla poltrona di direttore generale del Tesoro optando per la scelta conservativa di Riccardo Barbieri, un interno al dicastero dell'Economia e delle Finanze. Ma la domanda che nei Palazzi del potere tutti si fanno è perché questa scelta conservativa? Perché non c'è stata la rivoluzione con il "machete"?

La risposta che arriva direttamente dall'interno dell'esecutivo è che "in Italia vince la conservazione e a rappresentare al meglio la conservazione è il Quirinale". Evitare scossoni e terremoti sarebbe dunque stato l'input arrivato dal Colle più alto di Roma. E tanto a Palazzo Chigi quanto in Via XX Settembre sanno perfettamente che la presidenza della Repubblica è quella che firma tutte le leggi e i decreti, li bollina, dà il via libera finale. Meglio, quindi, non far arrabbiare il Quirinale.

Non solo. Il Centrodestra sa perfettamente, al di là delle roboanti dichiarazioni buone solo per qualche lancio di agenzia con i crismi, che tutta la burocrazia di Stato ormai da decenni è permeata da uomini del Pd, o comunque riconducibili alla sinistra. Una rivoluzione, una svolta netta ai vertici, insomma, avrebbe potuto provocare l'effetto contrario con il rischio di inceppare la macchina dello Stato. Passaggio fondamentale perché non riguarda solo Palazzo Chigi e i ministeri chiave ma tutti i gangli vitali dello Stato, come l'Agenzia delle Entrate, quelle della Dogana e soprattutto la Ragioneria.



Meglio, quindi, andarci piano ed evitare scossoni, hanno ragionato alla fine Meloni e il numero uno dell'Economia, il pacato e draghiano (più democristiano che leghista) Giancarlo Giorgetti. Ma ci sono altri due "poteri forti" che comandano e che incidono nelle scelte dell'esecutivo. Il primo è certamente l'Unione europea e Meloni sta trattando con il Ppe per cercare di mandare all'opposizione i Socialisti dopo le elezioni europee del 2024 e quindi vuole evitare scossoni anche con Bruxelles.

Avere un buon rapporto con l'Ue serve soprattutto su due fronti: le modifiche al Pnrr e la riforma del Patto Ue, senza dimenticare la questione immigrazione (anche se questo fronte è ormai chiaro che l'Italia dovrà arrangiarsi). E poi c'è la Magistratura, che in Italia non va mai sottovalutata. Le parole "eccessive" in Parlamento del ministro Carlo Nordio sulle intercettazioni sono state immediatamente rintuzzate e corrette dalla maggioranza, perfino, indirettamente, da Palazzo Chigi.

La presidente del Consiglio conferma l'impegno di una riforma organica della Giustizia e di rivedere la contestata e blanda riforma Cartabia, ma senza scontri. Il timore è sempre lo stesso e cioè che in giro per l'Italia possano partire inchieste su politici di Centrodestra che facciano male al consenso nel governo e alla fiducia nella premier.

Insomma, il filo conduttore è sempre lo stesso, ascoltando le fonti di governo e di maggioranza (parlamentari). La conservazione in Italia vince, perché domina da anni. E ha molti alleati: Quirinale, Bruxelles e Magistratura. Meglio quindi procedere a passi piccoli e lenti ed evitare scossoni. Visto che la volontà è quella di governare per cinque anni.

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