Migranti, il primo Conte era "fascio". Imbarazzanti uscite dell'ex premier

Un fenomeno da studiare che passerà agli annali

Di Giuseppe Vatinno
Politica

Diventa Primo Ministro e si presenta bene allo sguardo. Sempre elegantissimo, con un perenne fazzoletto nel taschino che gli merita l’epiteto di “uomo con la pochette”

È vero che gli italiani sono un popolo abituato a bersi tutto ma c’è anche un limite fisiologico ai doppi sarti carpiati e con avvitamento che è possibile fare nella propria carriera politica. Parliamo di Giuseppe Conte, peraltro al centro in questi giorni anche delle indagini giudiziarie della procura di Bergamo per la mancata attuazione di una zona rossa all’inizio della pandemia di Covid, nel 2020, un altro capitolo tragico della nostra storia patria. Conte, ricordiamolo, è stato un miracolato di Fata Populina che ha permesso ad un oscuro professore di provincia di diventare premier come punto di caduta nel 2018 delle rispettive incompatibilità dei Cinque Stelle che della Lega.

Come si ricorderà infatti, Salvini e Di Maio che avevano vinto le elezioni, non si mettevano d’accordo su chi dovesse esprimere il premier e così fu consigliato da Alfonso Bonafede, poi diventato ministro della Giustizia, il suo professore universitario di diritto civile. Il “fenomeno Conte” deve essere ancora studiato dagli storici della politica perché è troppo recente - anzi è contemporaneo - ma sicuramente passerà agli annali. Dicevamo che l’ex premier inizia la sua carriera politica come “avvocato del popolo” e si tira dietro come portavoce l’ex Grande Fratello Casalino noto per il cosiddetto “Codice Rocco” cioè le condizioni dettate per far partecipare i Cinque Stelle ai talk show, una misura mai vista in un Paese democratico occidentale, anche se lui naturalmente nega che sia mai esistito. Ma torniamo a Conte.


Le frasi di Yogananda



Landini a Conte: "Me raccomanno, tu dì sempre che nun lo sapevi che il governo giallo - verde era de destra"


Diventa Primo Ministro e si presenta bene allo sguardo. Sempre elegantissimo, con un perenne fazzoletto nel taschino che gli merita l’epiteto di “uomo con la pochette”, è proposto dai Cinque Stelle ma non è un politico. In seguito Matteo Renzi rivelerà che Conte era piuttosto insistente con lui con messaggi e similari ai tempi della sua segreteria.

Fiutata l’aria, e cioè che il governo ha dentro la Lega, cioè un partito di destra si trasforma però immediatamente nell’ “avvocato del popolo” stimolando l’anarchismo pseudorivoluzionario dei grillini che in quella fase si presentano immediatamente come un partito di destra. Nasce così il governo giallo – verde che vedrà l’inedita accoppiata contro natura –del resto siamo in tempi “fluidi” - tra Salvini e Di Maio.

All’inizio Conte si comporta bene, è docile e remissivo, chiede sempre prima al suo capo Di Maio se può o non può dire una cosa pubblicamente, ma poi prende confidenza con quell’inaspettato miracolo che gli è caduto dal cielo – e cioè Palazzo Chigi - e prende man mano il controllo del governo, iniziando a lavorarsi i Cinque Stelle nella cui “non struttura” si comincia ad infiltrare. In quei tempi, se vogliamo essere evangelici, Conte fa tutto il “fascio” e cioè si presenta ed agisce come un uomo d’ordine, un uomo di destra.

E non per nulla appoggia subito la politica anti - migranti che coerentemente porta avanti Matteo Salvini, allora ministro dell’Interno. Anzi, cerca di essere ancor più zelante, inebriato dal potere con i Cinque Stelle che non avendo alcuna ideologia alla base lo sostengono a spada tratta.

Il seguito è noto. Il Papeete segna la fine di Salvini e del governo giallo – verde ma non di Conte che si salva diventando di nuovo Primo Ministro del nuovo governo giallo – rosso che condurrà fino all’arrivo di Mario Draghi. Nel frattempo ha fatto fuori nell’ordine Salvini, Di Maio, Grillo e poi anche Casaleggio jr.

In questa fase Conte – vero Zelig della politica - fa di nuovo il “compagno”, riscopre il suo amore per gli ultimi e per i poveri del mondo, si commuove il 25 aprile, fa saltelli di gioia nei centri sociali, ci manca sol oche si faccia una canna di Maria e il quadro sarebbe completo. L’unico che gli resiste -o almeno prova- è Matteo Renzi che pur di toglierselo dagli zebedei fa autodafé e butta giù il governo di cui fa anche lui parte.

Nel periodo giallo-verde, cioè quello di destra sovranista, tenta pure di intortare il presidente Usa Donald Trump ma lo scaltro Tycoon americano deve aver visto il film di Totò in cui cerca di vendere la fontana di Trevi ad un suo connazionale e non ci casca (al contrario del gonzo Pallotta, ma quella è un’altar storia), trovando pure il tempo di percularlo affibbiandogli il suggestivo epiteto di “Giuseppi”, con cui poi sarà universalmente ricordato.

Conte però non si ferma e riesce a fare fuori pure Mario Draghi, dopo aver sfilato il partito all’ingenuo Grillo e così apre la strada a Giorgia Meloni.

Prima però aveva cercato di realizzare il famoso “campo largo” con l’allora segretario del Pd Nicola Zingaretti che nella ardita azione c’aveva rimesso le penne perdendo la cadrega del Nazareno. Il resto è cronaca. Caduto il governo Draghi, Conte dall’opposizione ha ricominciato a fare il populista attaccando il Pd e facendogli perdere le elezioni politiche prima e le regionali nel Lazio e nella Lombardia poi.

Ora, dopo la vittoria della Schlein, è tornato a fare il compagno e la sua pochette si è ridipinta di rosso, dopo essere stata nell’ordine rossa, bianca, verde, gialla, rossa e ancora gialla. Ieri la manifestazione a Firenze contro l’aggressione “fascista” alla scuola e le dichiarazioni imbarazzanti pro migranti dopo aver fatto parte del governo giallo – verde anti – migranti. È vero che l’Italia è il Paese di Agostino Depretis, l’inventore del trasformismo, ma c’è un limite a tutto a quello che un popolo si può bere impunemente.

Il re è nudo, Conte è solo un trasformista molto abile, un Houdini della politica, ma è ora che gli italiani lo rimandino a casa, insieme alla variopinta corte del comico genovese che ha rovinato l’Italia.

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