Tommaso Cerno parla di Berlusconi ma non si capisce quello che dice

Il mistero della “Collina” di De André

Di Giuseppe Vatinno
Tommaso Cerno
Politica

Non contento, in serata Cerno ha voluto fare il bis con un collegamento per il Tg5

 

Ieri Tommaso Cerno, direttore de l’Identità, era nel primo pomeriggio a Tagadà (La7), collegato da remoto. La sua florida immagine riempiva gaiamente lo schermo e gli enormi occhialoni neri sembravano voler scrutare il futuro.

Alle sue spalle una anonima biblioteca di plastica tipo Mondo Convenienza ci restituiva l’immagine di uno dalle non molte letture, ma si sa che questo è un periodo in cui serve più scrivere che leggere.

Il completo d’ordinanza con giacca “blu D’Alema” e camicia bianca stonava con l’ambiente domestico finto modernista che faceva assomigliare la stanza più a Base Luna di Spazio 1999 che a una normale magione.

Tiziana Panella gli chiede: “Quante storie ci sono dietro la storia di Berlusconi?”. Cerno, con la sua erre moscissima tipo Fausto Bertinotti, rispondeva arrotando particolarmente: “Intanto, parrrrrafrasando De André viene da dire che solo la morte l’ha portato in collina. Perché non è stato il giornalismo, non è stata l’opposizione politica e non è stata la magistratura capace di levarlo dal centro del campo. Oggi Berlusconi è scomparso, quindi era un uomo (ma va là!: ndr) che ha fatto cose gigantesche di luci e di ombre ma si toglie soltanto per questo”. La Panella aggrotta la fronte e si concentra, invoca Toninelli esperto di questi esercizi, ma è evidente che non comprende quello che vuole dire Cerno però, saggiamente annuisce perplessa e fa finta di niente.

E allora lui continua: “E per quelli come me che sono figli dell’Espresso dove origina tutta la storia del giornalismo di opposizione da cui nasce lo stesso Fatto Quotidiano e devo dire che per me è stato un avversario straordinario… Quindi anche per chi ha fatto di Berlusconi il narratore del male… in qualche maniera c’è stata una simbiosi (sic). Ora l’Italia deve domandarsi se berlusconismo e antiberlusconismo siano cose così diverse…”. La Panella, poverina, si rabbuia ancora di più. Vuole capire, ma l’insalata di parole è totale. Ed anche i telespettatori romanofoni si domandano: “Ma che sta a dì?

Ma “il figlio de l’Espresso” non molla: “Bisogna capire dove il fronte dell’opposizione il fronte degli avversari è stato così separato da lui, così terzo (sic) e dove invece era una derivata di questo grande momento che è stato il berlusconismo italiano durato decenni che porta con se qualcosa che resterà, io non so se resterà Forza Italia ma certamente resteranno tante cose di Berlusconi, la stessa sinistra …”.

Il pubblico è al ko tecnico. Implora pietà. I più dotti tentano di ravvisare qualche nesso logico nel concetto di “derivata”, magari, pensano che Cerno abbia studiato analisi matematica e vuole utilizzare la derivata e gli integrali per costruire un’altra astrusa metafora come quella della collina. A questo punto, fortunatamente, la Panella lo stoppa e lo sfuma mentre lui ancora si avvoltola nelle parole.

Diciamo che Cerno forse era emozionato e non molto lucido ma si è capito ben poco di quello che voleva dire. Voleva fare riferimenti dotti citando una canzone di De André ma nessuno ha compreso la sua metafora e si è prodotto in un discorso strambo che ricorda molto le riunioni di autocoscienza maschile che teneva Nanni Moretti in “Ecce Bombo”.

Per la cronaca, il figlio de l’Espresso stava forse facendo riferimento all’album “non al denaro non all’amore né al cielo”, appunto di De André, e specificatamente al brano “La collina”, tratto dall’antologia di poesie Spoon River di Edgar Lee Masters, ma non si capisce che possa azzeccarci con Berlusconi.

Però, non contento in serata Cerno ha voluto fare il bis con un collegamento per il Tg5. Dobbiamo purtroppo notare che la camicia è la stessa di prima e l’entropia –sotto forma di sudore- aveva fatto il suo corso. Fortunatamente era solo, il marito non era in casa.

Questa volta l’orribile mensola di plastica era scomparsa e al suo posto campeggiava un mazzo di fiori bianchi con un discreto manufatto marmoreo con ancora qualche traccia di ordigni finto modernisti. Qualcuno lo doveva avere avvertito.

Il direttore ha ripreso la lagna sull’Espresso e sul fatto che lui e la sinistra erano allora sulle “barricate” contro Berlusconi. Ma-nel contempo- ci fa sapere Cerno che “da lui ho imparato a capire meglio gli italiani”. Poi vira sul poetico: “lui aveva la capacità di comprendere l’Italia, i luoghi bui di illuminarli, che hanno avuto pochissimi”.

Insomma, siamo al Berlusconi in formato torcia. Questa ancora ci mancava. Tuttavia Cerno è eccitato più del solito e parte di tangente sociologica: “In Italia il berlusconismo e l’anti-berlusconismo sono diventati un tutt’uno”. Sicuro? Non sembra proprio, anzi.

Poi ritorna all’evocazione, nostalgia canaglia: “da direttore de l’Espresso dedicai per gli 80 anni di Berlusconi una copertina a quattro colori dal titolo: ‘Carissimo nemico’”.

Però, nel frattempo, la giornalista si è addormentata e così i telespettatori ma lui non se ne accorge e si aspetta il rimpallo dialogico che causa Morfeo non arriva.

Allora, fa occhioni e gigioneggia su una telefonata che Berlusconi gli avrebbe fatto dicendogli confidenzialmente: “Se la sinistra parlasse questa lingua mi avreste fatto molto più male e poi le dico che se lei facesse sempre copertine in quadricromia venderebbe molto di più”. E questo è un punto chiave perché è così spiegato uno dei misteri gaudiosi d’Italia.

Si tratta dell’arcano del perché l’Identità ha delle copertine pataccate che sembrano il vestito di Arlecchino. Sono un lascito –dice Cerno- del consiglio di Berlusconi. “Quadricromia”, roba da fare invidia a Elly Schlein e alla sua armocromista.

È evidente che il ricordo cromatico lo ha ringalluzzito. Si vede che Berlusconi l’ha conquistato facilmente e ci fa sapere che le parole del Cavaliere furono da lui apprezzate perché “ci aveva riconosciuto un ruolo che la sinistra non ci aveva sempre riconosciuto”.

E qui forse si spiega perché Cerno abbia cambiato più volte casacca da senatore e da giornalista, oscillando in continuazione tra sinistra e destra –suo marito è di Fratelli d’Italia- visto che ora l’Identità porta l’impegnativa dizione “quotidiano conservatore”, buffo per un ex direttore de l’Espresso, icona della sinistra.

Ne ho parlato qui Ma gustiamoci ancora Cerno. Ce lo meritiamo in questa pre - estate pazza in cui piove sempre e non c’è “mai ‘na gioia”. Dunque lo avevamo lasciato ai colori. Ora ritorna al passato che non passa. Gli riprende brutto su De André e le la “collina”, si incaponisce e fa il bis di Tagadà. Anche questa volta la giornalista in studio fa finta di capire tuttavia la sua espressione è evidentemente perplessa e preoccupata. “Cosa sta dicendo questo uomo?”, avrà pensato.

Poi il finale che fa trasalire le Covid-star: Cerno vuole occuparsi anche di vaccini e antidoti? “Quindi –anche precauzionalmente- dopo trent’anni visto che non è andato a segno (l’antiberlusconismo: ndr) sarebbe meglio cambiare antidoto “.

Il collegamento pietosamente si chiude. Cosa resta del Cerno – pensiero? Metafore ardite, nessi inesistenti che sono solo nella sua mente, insalata di parole, minestrone di concetti. Il povero telespettatore che lo ha ascoltato ieri ne è uscito non capendo cosa volesse dire e alla fine dei suoi interventi è stato posseduto dal demone della confusione. Un esempio di come non dovrebbe essere il giornalismo.

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