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Costume
Trump, una storica vittoria Il popolo ha battuto le élites

di Paola Serristori

“Questa è una notte storica”, esordisce al microfono il vice-presidente designato Mike Pence dal quartiere generale di Pennsylvania Avenue, New York. Poche parole di saluto e subito introduce il Presidente degli Stati Uniti, Donald J. Trump. La sua è una vittoria storica. Florida, Pennsylvania, Ohio, Michigan...  “Stupefacente”, sottolineano tutti gli esperti delle elezioni americane. E' la vittoria di un uomo solo, nel senso di anti-convenzionale. Ed è la vittoria del popolo, della classe media, quella che paga i conti dello Stato e subisce gli interessi delle élites, che pagano i politici per ottenere leggi favorevoli.

E' la vittoria dei comizi in cui si affrontano i problemi del territorio, perché la vita non è uno show. Nel rush finale, in cui Trump ha aggiunto alla sua agenda un numero impressionante di tappe negli Stati in bilico tra democratici e repubblicani, Hillary Clinton inanellava il supporto di celebrity che aprivano i comizi: Katy Perry, Jay Z, Beyoncé, Bon Jovi, Spreengsteen. Oltre alle guest-stars Michelle e Barack Obama. Trump apriva uno dei propri meeting così: “Noi non abbiamo bisogno di Jay Z per riempire la sala!”. Il pubblico s'infiammava alle critiche di Trump all'ObamaCare. Nel Minnesota, dove il democratico Bernie Sanders aveva trionfato su Hillary Clinton nel marzo scorso, dopo l'investitura di lei molti elettori si dichiaravano delusi. Nel parterre di Trump una donna mostrava una fattura di 900 dollari per l'assistenza sanitaria: “Ho pensato che ci fosse un errore, ma dicono che è quello che devo pagare. E' assurdo.” Qui il voto di schieramento ha tenuto, altrove no.

E' la vittoria degli elettori sui media tradizionali, che ancora una volta non hanno ascoltato, raccolto notizie, diffuso informazione utile ad una seria riflessione generale. Solo chiacchiere, più o meno influenzate. Un silenzio assordante ha accolto il testo dell'email con cui il comitato Clinton chiedeva in via riservata di conoscere in anticipo le domande del confronto televisivo tra i candidati. Sottinteso per preparare a tavolino le risposte.

Nei giorni in cui Wikileaks diffondeva il testo di imbarazzanti email nel campo democratico, e non solo i giudizi pesanti di o su Hillary Clinton, i super-finanziamenti incamerati da Wall Street, lobbies e governi stranieri, i riflettori si spostavano sulle dichiarazioni di una, due, tre... sino ad undici donne che rendevano pubblici apprezzamenti sessuali ricevuti nel passato, in contesti privati, dal candidato repubblicano. Il portavoce repubblicano al congresso, Paul Ryan, annuncia nelle stesse ore che non sostiene Donald Trump. I rapporti tra i due non erano mai stati dei migliori, ma Ryan rincara la dose, in un momento delicato, citando proprio le accuse di ammiccamenti sessuali. Un fuoco incrociato sul granello che poteva inceppare il meccanismo oliato dei favori trasversali. Trump restava isolato a ripetere: “Hillary è corrotta. Nella Fondazione Clinton non c'è nulla di charity. Lei è diventata ricca con la politica, io ho lavorato.”

E' una vittoria che lascia sconcertato il potente quotidiano The New York Times, che nella giornata del voto titolava sullo staff di Clinton che stava per trasferirsi alla Casa Bianca. Una metafora della decadenza della stampa che ha perso credibilità e lettori. Del vecchio modo di fare informazione.

Trump, un outsider che conferma il mood dell'America: qual è il tuo sogno, qui puoi realizzarlo. Un rinnegato dall'establishment. Nessuno l'avrebbe candidato. Si è presentato con un linguaggio forte, rude, volgare, che suonava stonato all'orecchio dei commentatori politici, quanto autentico ai cittadini. Il suo successo dimostra che è sciocco liquidare Tsipras, Grillo, Farage come populisti... E' evidente che c'è un'istanza di fondo contro i professionisti della politica. I lavoratori, la working class, sono stanchi di tirare il carro dei privilegiati, di costituire il parco buoi della finanza, di essere lusingati al momento del voto e dimenticati all'indomani. La sua decisione di correre per la presidenza degli Stati Uniti è stata accolta con ironia, seguita con sarcasmo, e sopportata dal momento in cui ha ottenuto la nomination. Per nulla scontata, malgrado le vittorie nelle primarie. A pochi giorni dall'investitura, il partito lo osteggiava. Trump, avendo dalla sua un patrimonio personale che gli consentiva di sostenere le spese per farsi conoscere in una nazione ampia come l'Europa occidentale, rilancia: se non mi volete come candidato repubblicano, io mi presenterò come candidato indipendente.

E' una vittoria dei singoli sui social. Segno ammonitore che non basta un twitter per comprare un'idea. L'idea di Trump la riassume egli stesso appena prende la parola. E' la vittoria di un uomo d'affari, che ha conosciuto la crisi e si è rialzato. Quando aveva divorziato dalla prima moglie Ivana, perdendoci una bella fetta di patrimonio, in un periodo di crisi dell'economia americana ed anche dell'impero Trump, la compagna Marla Maples raccontava che passeggiando a Manhattan lui le aveva indicato un homeless più o meno usando queste parole: “Lo vedi? In questo momento lui ha più soldi di me”. Per dire di che stoffa è l'uomo.

Stanotte è lo stesso uomo che nel primo discorso ufficiale alla proclamazione della vittoria spiega ai sostenitori che riempono il teatro: “Scusate se vi ho appena coinvolto in un affare complicato. Ho ricevuto la telefonata del segretario Clinton che si congratula con voi! Dobbiamo procedere insieme, riunire il Paese. Sarò il Presidente di tutti gli americani, anche per chi non mi ha supportato. Ciò è molto importante per me. Come ho detto all'inizio, la nostra è una campagna di un movimento di milioni di americani che amano il Paese. E' il momento di lavorare insieme. Ho speso tutta la mia vita negli affari, guardando in tutto il mondo le migliori occasioni per costruire qualcosa. Ora è quello che voglio fare per il nostro Paese”. Poi cita “le donne dimenticate che non saranno dimenticate più a lungo”, l'attenzione per “i veterani”, invoca “partnership e non conflitti”, ricorda “i miei meravigliosi genitori, mia sorella, i miei fratelli, Melania”, la moglie, i figli, ringrazia il comitato elettorale, l'ex sindaco di New York Rudy Giuliani, l'unico che non gli ha mai fatto mancare il sostegno, lo chiama sul palco, i generali che hanno appoggiato la sua candidatura. E su questo punto c'è da aggiungere che Trump non è un politico, ma neppure uno sprovveduto. Come nell'era Reagan, sarà importante la scelta della squadra di consiglieri. Nella campagna elettorale Trump ha parlato molto del programma. Sulla guerra in Siria aveva detto: “I generali sono disperati. Vedono quello che sta succedendo, un'incredibile dura guerra, una battaglia annunciata momento per momento: 'Ma l'effetto sorpresa... l'effetto sorpresa... mi dicono i generali sconcertati. Come fai ad annunciare al nemico dove e quando vai ad aspettarlo?'.

“La campagna è finita, ma il lavoro del nostro movimento inizia adesso. E' un mio onore, perché io amo questo Paese”, conclude il vincitore di una durissima battaglia elettorale. All'esterno della Trump Tower un gioco di luci riveste l'edificio dei colori della bandiera stelle e strisce su cui è riprodotta l'immagine di Donald J. Trump, quarantacinquesimo Presidente degli Stati Uniti d'America.

 

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