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Cronache
Blue Whale? E' il padre che divora il figlio

Blue Whale è un “fenomeno” di gigantesca portata che esprime in modo terrificante la condizione della non-Società contemporanea.
Cominciamo dalla “fine”. Blue Whale indica una sorta di gioco-rituale che un individuo (probabilmente adolescente o poco più) inizia seguendo 50 regole suddivise in cinquanta giorni consecutivi, fino appunto al 50° giorno…quello del “sacrifico”. Tramite un contatto di rete con i “gestori-master” del “gioco” il partecipante decide di prenderne parte, e da quell’inizio caratterizzato da domande precise e personali che il master sottopone al partecipante, si generà un rapporto di sottomissione psicologica, condizione dalla quale il giocatore non potrà sciogliersi -pare- perché ricattato e minacciato di ritorsioni violente nei confronti dei familiari; in caso di non prosecuzione delle “regole”. Le Regole (che sottendono anche il dimostrare d’averle eseguite al master) sono varie: incisioni epidermiche, disegnare “ovunque” balene, postare sui social balene, svegliarsi sempre alle 4:20 del mattino e guardare filmati horror ottenuti dal master (funzione di destabilizzazione psichica; produzione irregolare di dopamina e serotonina. Prassi da tortura). Iniziare a prendere confidenza con tetti e terrazzi e inviarne foto, ascoltare musica (deprimente) che il master invia al partecipante, per un giorno non parlare con nessuno, prendere contatto con una persona già “Balena” e parlare tutti i giorni con essa. Il 26° giorno il master indicherà la data “finale”.  Da quel momento tutte le regole vanno seguite quotidianamente, dalla sveglia all’uso di materiale audio-video. L’ultimo giorno, anche assieme ad altre balene, gettarsi da un’altezza mortale o stendersi su binari del treno. Insomma, un vortice di autosabotaggio psichico tale da indurre all’irragionevolezza totale.
I canali d’informazione notiziano di oltre 130 vittime, nella stragrande maggioranza concentrate in Russia.  In Italia, il primo servizio mediatico “lungo” sul Blue Whale è stato prodotto dalla trasmissione di Italia1 Le Iene. Senza approfondire la sottile “morbosità” già marchio di fabbrica della trasmissione, che difficilmente arretra dalla possibilità di spettacolarizzazione totale in cambio di “utile” da inserzioni pubblicitarie per la Madre Mediaset. Qualcuno parla di fake-event, di fake-news, come se questo Blue Whale non esistesse; ma ormai ciò non ha più valore, anche se così fosse, le regole e le finalità sono state pubblicate [pubblicizzate?] nel dettaglio dai grandi media nazionali, dunque l’istinto di emulazione è stato sollecitato, dunque Blue Whale esiste…anche se non esisteva.

Con ciò, per me è più interessante l’aspetto simbolico del fenomeno Blue Whales.
Tutto questo, le “regole”, l’autodistruzione, su cosa agiscono di preesistente?
Dal teadium vitae leopardiano, da I Dolori del giovane Werther [Goethe], dallo Spleen dei giovani poeti decadentisti, dalla rivolta della beat-generation (Ginsberg, Kerouac, generazione abbattuta…e non allegra nel ballare il rock), la gioventù è sempre stata la prima categoria umana ad accusare più violentemente la crisi del suo tempo, che come vittima e precursore ha ovviamente cercato metodi e mezzi per rifuggirla o ri-comunicarla al mondo degli adulti e del Potere. Questa Blue Whale, anche analizzando il suo funzionamento, palesa delle peculiarità (le solite) utili al giovane individuo per sentirsi “vivo”, “parte di qualcosa”, che non sia l’iper-complessità caotica e basata sull’indifferenziazione generale e sull’illusione frustrante delle infinite possibilità.
Se è vero, come è vero, che  oggi viviamo nell’epoca in cui si esiste nella misura in cui ci si proietta nel sovra-mondo della rete, si “vive” nella misura in cui siamo sopraffatti dal nostro irradiamento che si fa esistenza stessa, possiamo capire come il gesto estremo e finale richiesto dalla “balena blu” debba infatti essere “doverosamente” ripreso per essere ri-diffuso, così da mitizzare e rendere “immortale” il giovane protagonista.
Le forme di disagio e devianza e autodistruzione si sono evolute assieme allo “sviluppo” della società moderna (ora non-Società), la diffusione ultra popolare delle multi-differenti sostanze stupefacenti (psicofarmaci inclusi) e dell’alcool è cresciuta al pari dello sviluppo della società dei consumi e dell’opulenza. Oggi nel post-benessere e nella post-Società Blue Whale è un apice del degrado troppo invisibile e incomprensibile alle istituzioni ignoranti e complici del mondo.
Come per lo psicanalista Gustavo Pietropolli Charmet, nelle forme autodistruttive delle giovani generazioni è implicita una richiesta di vita; un grido che dovrebbe “Far capire alla gerontocrazia al potere che non è vero che la giovinezza coincide con la bellezza, il successo e la felicità sessuale”, oggi l’espressione del suicidio si fa moderno, mediatico, condivisibile e “postabile”.  
Come scrisse Jules Pascin "Voglio una morte divertente!” e Drieu la Rochelle, nel romanzo Fuoco Fatuo [1931] "Voi non pensate a me, ebbene, non potrete dimenticarmi mai più! Ci si uccide per non morire.”, oggi tali epigrafi colgono in pieno l’essenza dell’apparentemente incomprensibile Blue Whale. Ciò che ci è terrificante, che ci sconvolge, è il fatto di poterlo noi  “vedere” da altrettanti schermi persuasivi, ciò che fa apparire “pazzesco” l’agire di queste vittime è la spinta esterna e lo schema predeterminato che esso presenta, ma tale dinamica è solo un codice, un percorso rigido che agisce su un istinto già presente e attivo in altre forme più sottili, ma che così soddisfa anche la necessità di un paradigma e di regole che proprio le gioventù necessitano per dare un senso, per trovare un “via” nel caos…in questo caso una -via d’uscita- dal caos.
Blue Whale: non una nuova Balena che sostituisce quella del giovane Pinocchio quando esce dalle regole educative, questa moderna uccide nello stesso modo della non-Società attuale, è il padre che divora il figlio, senza possibilità di redenzione, prostrandosi alla spettacolarità che tutto gestisce, in disumano modo. Un ultimo aggiornato grido d’aiuto che le gioventù indirizzano al mondo, un grido telematico, elettrificato, diretto a un mondo che rende invisibili e inesistenti fino a quando si diviene “notizia”, fino al gesto mitico immortalato e riproponibile infinite volte, che in qualche modo dimostra l’essere esistiti.
Blue Whale siamo Noi.


* Giuseppe Giusva Ricci è sociologo, ricercatore indipendente e saggista.
L’esordio del 2003 con “La Teledittatura: Il Berlusconismo. Neocivilizzazione sociale e consenso politico” [Kaos Edizioni] attira l’attenzione di vari giornalisti tra i quali C.Augias e G.Valentini, e diventa un testo pluricitato dai tanti sociologi, politologi, giornalisti e ricercatori universitari che in Italia come all’estero [Stati Uniti e Francia], da allora provano a spiegare quel che succede nel nostro paese.
Segnalato al 106th Annual Meeting of the American Political Science Association Conference Group [Washington Dc], dopo una lunga incursione nel romanzo di denuncia con Amarkord (2005), Caos amore caos (2007) e Sbranando Dio (2014), Ricci è in questo periodo impegnato nel tour promozionale del suo ultimissimo saggio “Nemici Politici_Pubblici Nemici”.

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