Cronache
Coronavirus, l'esempio di Israele. E ora torniamo alla vita quotidiana

Milano di oggi sembra Gerusalemme del 1997
Nel passato era la peste che ci faceva restare chiusi in casa e solo il fuoco poteva essere purificatore.
In Israele nel 1997, quando abitavo lì, prendere un autobus, andare al mercato o prendere un comune aperitivo con un’amica poteva destinarti alla fine della tua vita.
Ricordo ancora la lenta coda di passeggeri in salita, ma con una sosta forzata per salire su un autobus, dove venivano esaminati tutti i passeggeri con il potenziale terrorista che poteva essere in mezzo a noi.
Sugli schermi della televisione, o dal vivo, si poteva assistere allo spettacolo terrificante di pub o ristoranti sventrati o avvolti nelle fiamme.I corpi dilaniati e gli arti sparsi sulla strada, sui marciapiedi il sangue che correva lungo l’asfalto.
All’ascolto delle sirene e ambulanze, si riconosceva un attentato. Alla televisione vedevamo il pianto dei sopravvissuti, la conta dei feriti e i morti senza né nome né volto. Essere su un autobus non era come qui a Milano dove tutt’al più ti dovevi preoccupare di un borseggiatore: lì, la posta in gioco era la tua vita, perché spesso gli autobus esplodevano e con essi i corpi si dilaniavano.
Giorno dopo giorno ci rendevamo conto che ci stavamo abituando al pericolo, all’orrore .Altre volte non ci si faceva neppure caso: tutti pensavamo a una lontana possibilità e probabilità che potesse capitare proprio a noi.Certo, la vita non era facile e spesso sono scampata da attentati come quello di Mahane Yehuda, dove andavo tutti i venerdì a fare la spesa dello Shabbat.
La sera potevi scegliere fra la discoteca, il cinema o un ristorante ma non sapevi dove poter essere al sicuro, magari uno di questi posti poteva diventare appetitoso per un kamikaze di turno in agguato.Non esistevano bambini, donne o uomini israeliani che in quanto tali, fossero risparmiati da tale violenza.
Anche la scelta di un comune luogo dove cenare in compagnia poteva essere influenzato dal terrorismo: spesso si vedevano i bistrot o i ristoranti segnati con insegne scure, simbolo che l’attentato era passato anche da lì e che l’esercizio mai più si era ripreso.
Non potevano frequentare zone troppo affollate e la città sembrava essere deserta.Gli shopping center, le stazioni e gli alberghi venivano tutti vigilati da ragazzi più che ventenni che con metal detector e radiolina stavano ore e ore a controllare borse o abiti delle persone che entravano all’interno.
Era come se fossero lì ad aspettare che prima o poi arrivasse un attentatore per impedirgli di entrare e fare strage all’interno del locale. A volte mi ricordo quanto mi fossi indispettita di subire un trattamento di sicurezza prima dell’entrata in un locale: guardata come un’attentatrice e perquisita da ragazze che potevamo avere la metà dei miei anni.
Da allora però, ho capito quanto fossero importanti i controlli e rivedere tutto questo a Milano in questi giorni, mi ha fatto ripiombare in quel periodo di terrore. A Gerusalemme, soccorrevo i pazienti ustionati e in fin di vita all’ospedale Hadassah, oggi a Milano, vedo gli ospedali pieni di persone in fila alla ricerca di un medico che possa dire loro quale sarà la loro sorte.
Oggi la città appare deserta, tutti sono alla ricerca di questi tamponi difficilmente rintracciabili che possano darci un segno per capire se saremo i prossimi untori oppure no. Abbiamo finalmente ricevuto le mascherine dopo 5 giorni d’attesa, comprate ad un prezzo eccezionale ma ricordo che in Israele, era lo stesso stato a fornirci le maschere anti gas e a chiederci di sigillare le finestre per evitare i possibili gas nervini lanciati dagli attentatori.
Alla vita ci si abitua, al pericolo ci si abitua .In Israele ho imparato che niente mi può far paura, che la mia vita deve continuare ad essere la stessa e che fermarsi in casa o rinchiudersi ad aspettare, non fa per me. Con le dovute precauzioni credo che tutti noi cittadini dovremmo tornare alla vita quotidiana, senza aspettare che la paura nonché il coronavirus ci faccia perdere il lavoro, la famiglia e la vita.