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Marco Majori: "In Italia manca una vera cultura della montagna: conta più chi fa spettacolo sui social e non chi compie una bella salita"
L'alpinista e guida esperta riflette sul pericolo dell'alta quota, sulla crescente accessibilità delle vette e sul valore autentico della montagna

Marco Majori spiega come la montagna non rappresenti un pericolo, ma una scuola di vita anche nell'era del turismo d'alta quota
Mentre in Nepal ancora si cercano gli alpinisti italiani Marco Di Marcello e Markus Kirchler, ci si interroga se la montagna rappresenti un pericolo, oppure un luogo sicuro e soprattutto accessibile a tutti. Per capirne di più Affaritaliani ha intervistato Marco Majori, alpinista e guida esperta.
Le recenti valanghe in Nepal hanno scosso il mondo dell'alpinismo e non solo. Esiste secondo lei un approccio più leggero rispetto al passato nel vivere e interpretare la montagna?
"È abbastanza complicato il discorso perché se si parla di valanghe si parla di eventi spesso imprevedibili, difficili da gestire anche per i più esperti. Chi frequenta la montagna lo sa, proprio come chi si mette ogni giorno alla guida, si accetta una componente di pericolo. Non conoscevo di persona i cinque ragazzi partiti per il Nepal, ma voglio precisare che non erano turisti improvvisati, ma persone di montagna. Erano alla ricerca della vera avventura, quella che rappresenta il senso più autentico dell’alpinismo".
Oggi, ad esempio, scalare l’Everest non è più un’impresa riservata a pochi esperti, con il giusto budget, un’agenzia e i permessi necessari, chiunque può provarci. Secondo lei questa nuova facilità di partecipazione ha reso la montagna più “accessibile”?
"Se parliamo dell’Everest parliamo di turismo d'alta quota, non di alpinismo. Salire con l’ossigeno e con gli sherpa che ti preparano tutto significa delegare l’esperienza. Tuttavia, quest'ultimo è diventato un’industria che ha portato benessere alle popolazioni locali, quindi non mi sento di condannarlo. Viviamo in un’epoca in cui siamo bombardati da finzioni, e la montagna resta uno dei pochi luoghi dove si può ancora incontrare qualcosa di autentico".
Come si può tornare a un rapporto più autentico e rispettoso con la montagna?
"In Italia manca una vera cultura della montagna. Il CAI sta facendo molto, ha appena firmato un protocollo con il Ministero dell’Istruzione per formare i giovani, ma non basta. I paesi di montagna si spopolano, mancano politiche di sostegno e attenzione costante. Oggi non ha più notizia chi compie una bella salita, ma chi fa più spettacolo nei social. Così si perdono i valori fondamentali come sacrificio, impegno, umiltà. Eppure, la montagna è una scuola di vita: insegna rispetto e misura, valori che dovrebbe riscoprire".
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