Cronache
Federico Ruffo e il caso Franciosi

di Nancy Squitieri
La storia di Gianfranco Franciosi, raccontata nel libro edito da Rizzoli “Gli orologi del diavolo”, e scritto dal protagonista a quattro mani con il giornalista Federico Ruffo, è soltanto una delle 88 storie che andrebbero approfondite e che riguardano i testimoni di giustizia in Italia. Come lo stesso Ruffo racconta ad Affaritaliani.it, il suo interesse per questo caso è nato in circostanze del tutto fortuite:”a causa di un racconto di un pentito di ‘ndrangheta mentre preparavo una puntata di Presadiretta, in cui fece riferimento al programma di protezione dei testimoni di giustizia, lacunoso e imperfetto. Successivamente, in occasione del processo per l’omicidio della testimone di giustizia Lea Garofalo, in udienza uno degli assassini affermò quanto fosse stato semplice avvicinare la donna, all’epoca uscita dal programma di protezione”. Da quel momento Ruffo si mette alla ricerca di qualcosa di preciso: vuole capire come funziona esattamente questo programma protezione testimoni, e cosa ci sia realmente di perfettibile.
L’operazione però è complessa: i fascicoli sono secretati, l’accesso ai documenti non è sempre possibile. Il caso Franciosi, uno dei tanti testimoni di giustizia usciti dal programma di protezione, era diventato una sorta di leggenda. Tutti sapevano di questo civile infiltrato nel narcotraffico, al quale, durante il programma di protezione, erano capitati una serie di episodi inquietanti, l’ultimo dei quali, 3 pallottole trovate sulla propria auto blindata. Quando Ruffo lo incontra, ad ottobre 2013 in compagnia di sua moglie, “erano entrambi spaventati e guardinghi”. Oggi, degli 88 testimoni di giustizia sotto protezione, la metà è andata via, rinunciando alla protezione dello Stato. Sembrerebbe una follia. Perché? Federico inizia ad incontrare queste persone e a capire:” la loro vita, complessa e spartana, è durissima: è stata loro fornita un’identità nuova, in un posto lontano, che molto spesso non è seguita da una componente amministrativa. Per esempio, mancando un codice fiscale, è impossibile per loro svolgere una serie di attività normali per tutti noi, dal frequentare l’università al fare dei controlli medici tramite il Servizio Sanitario Nazionale;in alcuni casi i figli di queste persone hanno avuto grandi problemi, dopo aver frequentato la scuola dell’obbligo, a vedere riconosciuto il proprio percorso scolastico. Ma le difficoltà riscontrate non si limitano a questo, anzi riguardano la sfera economica, l’inserimento lavorativo, le scorte insufficienti, ecc. Così, spesso, risulta più opportuno rinunciare alla protezione dello Stato per ritrovare una condizione di vita normale”. Le conseguenze di queste mancanze si riscontrano negli importanti danni psicologici e fisici che i testimoni e le loro famiglie manifestano di frequente: quadri clinici fatti di depressione, anoressia, dipendenza da psicofarmaci.
La Legge 45/2001 fa una distinzione tra la figura del testimone e quella del collaboratore di giustizia, e nonostante ciò i testimoni vengono tuttora trattati con sufficienza perché erroneamente considerati dei pentiti. A differenza di questi, invece, sono vittime innocenti di fatti di mafia, perlopiù imprenditori che denunciano il pizzo o persone casualmente malcapitate nei luoghi dove si verificano eventi delittuosi, costrette quindi a scappare e cambiare identità per salvare la propria vita e quella dei loro cari. Secondo Ruffo:”Ad aggravare ulteriormente il quadro, oggi la spesa per il programma testimoni ha subito una riduzione di 11 milioni di euro a causa della mancanza di fondi, e questo si è riversato inevitabilmente sulla qualità di vita e sulla sicurezza di queste persone. Si pagano oggi errori ed esagerazioni del passato: si è passati da un’eccessiva elargizione di denaro causata da mala gestione del programma, alla condizione attuale”.
Ulteriore paradosso, nonostante la Legge 125/2013 prevedeva l’assunzione nella P.A. dei testimoni di giustizia, e l’annuncio da parte del viceministro dell’Interno Filippo Bubbico, di nuovi sviluppi nella gestione del problema, a distanza di oltre un anno, sul piano legislativo manca ancora il decreto attuativo. Quello dei testimoni di giustizia dunque, è un argomento doloroso e complesso, di cui Federico Ruffo è diventato esperto, ma che non sembrerebbe rappresentare una priorità per il nostro Governo, probabilmente a causa del numero esiguo di persone che ne sono coinvolte nel nostro Paese. Ogni tanto il tema ritorna all’attenzione perché legato a gravi fatti di cronaca, ma in generale a livello istituzionale a parte una interrogazione parlamentare, e un interesse da parte del Movimento 5 stelle, non sembrerebbe esserci sul fronte politico nessuna Riforma al vaglio, o perlomeno un’iniziativa nell’immediato.
Eppure, in contrasto con la sconfortante situazione italiana, esistono realtà virtuose, come quella degli USA, dove, con risorse più appropriate, maggiore autonomia dei corpi di polizia a cui vengono affidati i testimoni, differenti protocolli e soprattutto minore burocrazia, si sono trovate modalità di gestione dei programmi di protezione analoghi al nostro, molto più efficienti. Basterebbe prendere esempio da queste.